Da dieci giorni, per la precisione da quando ha vinto le elezioni europee trascinando la Lega oltre il 34% dei consensi, c'è un solo uomo al governo. La sua maglia non si sa se è più verde o più blu, però il suo nome è di sicuro Matteo Salvini. Unicamente da lui dipende la sopravvivenza dell'esecutivo, ma anche quella di Di Maio, che gli sta aggrappato disperatamente. Se Gigino può dirsi ancora capo dei grillini è unicamente perché il leader della Lega ha posto fin dal primo momento questa come condizione sine qua non alla tenuta della maggioranza. Nell' ttimo stesso in cui Matteo gli levasse protezione politica, l' ex disoccupato di successo di Pomigliano d'Arco crollerebbe, presumibilmente portandosi nel baratro il Movimento, che si frantumerebbe in lotte intestine fino a disintegrarsi. Tutti i bla-bla che si sono ascoltati in questi giorni, a cominciare dall' ultimatum senza data di scadenza rivolto dal presidente del Consiglio Conte ai suoi due vicepremier sono acqua fresca. Leggi anche: "E allora trovi altre soluzioni". Minibot, ira di Salvini e Di Maio contro Tria: tensione altissima L'unica cosa che conta è la volontà di Salvini. Anche seguendo l'indicazione del presidente Mattarella, il leader leghista si è preso un paio di settimane per decidere il da farsi. Nel frattempo, sta ponendo all' alleato le condizioni, durissime e talvolta in antitesi rispetto ai principi di M5S, per andare avanti: flat tax, giustizia non alla grillina, autonomia, alta velocità. La posta si alza ogni giorno, tanto i pentastellati sono così allo sbando che, pur di restare attaccati alla poltrona, voterebbero anche il raddoppio dei vitalizi o del numero dei parlamentari, in barba a coloro che li hanno eletti e alle ragioni per cui lo hanno fatto. Ormai i 333 seguaci di Casaleggio, tra onorevoli e senatori, calati a Roma con la piena della protesta anti-casta ma già gelosi e attaccati come patelle ai privilegi del Palazzo, sono consapevoli che la loro pacchia durerà finché il leader leghista deciderà che gli conviene. E fino a quando a Matteo converrà è la domanda che non si pongono solo i grillini allo sbando bensì tutti gli italiani. Il fatto è che la risposta al momento non la conosce neppure il leader leghista perché perfino lui non sta capendo più con chi ha a che fare. Salvini sa che l' alleanza con Di Maio gli ha consentito di raddoppiare i consensi in un anno e sente di avere l' alleato-rivale in pugno, perciò lo tiene in piedi e osa. Il punto però è che ormai Gigino non conta più nulla, ha dimezzato il partito e disperso milioni di voti che gli avevano regalato Grillo e Casaleggio. Il Movimento lo tiene solo perché non ha trovato nessuno di meglio con cui sostituirlo. È un grande cerotto sulle ferite che dilaniano il corpo di M5S, ma non ha speranze di suturarle, tantomeno di guarirle. La sua debolezza interna lo rende inoltre un interlocutore poco affidabile per il leader leghista. Le elezioni del 26 maggio sono state un referendum nel quale gli italiani hanno scelto il programma leghista rispetto a quello grillino e coerentemente Salvini ora detta l'agenda. Di Maio annuisce ma non ha la forza per imporla, perché dentro Cinquestelle è saltato tutto. Il partito a Roma è una mandria di soggetti raccolti in tutto il Paese che fino a un anno fa non si conoscevano con storie, culture, aspirazioni e idee diverse, selezionati a casaccio dalla rete, in pratica quasi tirati a sorte. senza interlocutori Questo gregge senza guida, con un guru vaniloquente a Genova e un capo virtuale a Milano, è stato tenuto insieme dal cane pastore sulla scia di uno straordinario successo elettorale. Ma adesso che il vento è cambiato i parlamentari sono diventati pecore matte che si muovono in ogni direzione, annichiliti dal terrore di tornare a casa. In questa situazione il dialogo che Salvini cerca con i grillini rischia di essere una chimera. Mancano gli interlocutori, nessuno si prende una responsabilità, c'è chi va a destra, chi a sinistra e chi se ne fotte. La sconfitta ha accentuato la natura anarchica di Cinquestelle, dove tutti parlano ma nessuno si prende una responsabilità. O il leader della Lega riuscirà a commissariare di fatto il Movimento e a governare da solo o l' esecutivo non sarà in grado di fare nulla. Dalla risposta a questa alternativa dipende il se e il quando sarà staccata la spina alla maggioranza. Dal momento in cui ha vinto le elezioni Salvini, anche se ha solo il 17% dei parlamentari rispetto al 34 di M5S e a Palazzo Chigi siede un uomo indicato dai grillini, è per l' opinione pubblica italiana il premier e a lui d' ora in poi verranno messi in conto meriti e colpe del governo. Questo Matteo lo sa, e non è il tipo che ama portare la croce per altri. di Pietro Senaldi
