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Giordano lo smaschera: "Ha ammesso di essere soltanto un servo"

Antonio Di Pietro

L'ex pm si suicida: il partito è finito, non serviamo più alla politica e alla finanza. Ma come? Non era lui l'uomo anti-sistema?

Andrea Tempestini
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    di Mario Giordano Di Pietro ammette: «Sono morto». E Grillo propone: «Mandiamolo al Quirinale». Ottima idea, no? Gli italiani non stanno aspettando altro che avere un Capo dello Stato cadavere. Al posto dei corazzieri ci mettiamo i lumini votivi, invece dell'auto blu un carro funebre. Così possiamo celebrare serenamente le esequie della patria. Vi pare? Non so da quale cimitero mentale sia saltata fuori quest'ipotesi  ma certo il clima del 2 novembre non aiuta. In effetti: si celebrano i defunti. E Tonino si sente decisamente protagonista della giornata. Il leader dell'Idv, infatti,  ha concesso una bella e coraggiosa intervista a Carlo Tecce del Fatto quotidiano, in cui  letteralmente dice: «Il mio partito è morto a Report». Era la sua prima uscita pubblica dopo la doppia bastonatura di domenica: sconfitto brutalmente alle elezioni in Sicilia e svergognato in Tv da un reportage di Milena Gabanelli  che ripercorreva di fatto le inchieste di Libero e del Giornale, balbettante di fronte al microfono e zoppicante di fronte alle urne, l'ex pm si è pubblicamente arreso: «L'Italia dei Valori è finita, a maggio andiamo a casa, non entriamo in Parlamento», ha lealmente dichiarato prima di cambiare tono, e forse anche un po' Tonino: «Proviamo a risorgere», ha aggiunto infatti come se la resurrezione fosse un ordine del giorno o un'interrogazione parlamentare.   Resurrezione? E chi pensa di essere? Gesù Cristo? Nel suo partito c'è aria di scetticismo: «Non abbiamo mai visto Di Pietro camminare sulle acque», mormora qualcuno. E altri dicono: «Ha trasformato i soldi in case, ma non l'acqua in vino». Ai miracoli insomma non ci credono. «Quell'intervista è la pietra tombale sull'Idv», spiega il lucifero ribelle Massimo Donadi. Il passaggio più interessante, fra l'altro,  è quello in cui Di Pietro spiega le ragioni della morte: «Siamo vittime del killeraggio di un sistema politico e finanziario che non ha più bisogno di noi». Dal che si deduce: a)  che Di Pietro considera il sistema politico finanziario mandante dei reportage della Gabanelli; b) che Di Pietro considera la Gabanelli come una killer; c) che fino all'altro giorno Di Pietro si considerava utile al sistema politico e finanziario che solo oggi non ha più bisogno di lui. E perciò lo scarica come un Mariotto Segni qualsiasi. Di questi tre punti, tutti piuttosto originali, mi colpisce soprattutto l'ultimo. E mi dà una delusione enorme. Ma come? Di Pietro non ha sempre rappresentato se stesso come l'anti-sistema per eccellenza? Non si autonominava uomo di rottura degli assetti costituiti? Non era quello che aveva bombardato a suon di congiuntivi sbagliati tutti i circoli dell'establishment? Non pretendeva di aver raso al suolo, oltre alla grammatica italiana,  pure i salotti del potere? Evidentemente non era così. Evidentemente, checché ne dicesse, lui era funzionale al sistema politico e finanziario. E sapeva di esserlo. A pensarci bene, tutto torna: non è un caso che nessuna delle inchieste di Libero o del Giornale sulle sue case e sui suoi conti sia mai rimbalzata sulla grande stampa. Ricordate? Nessuno ne ha fatto mai cenno, anzi: appena possibile ci hanno messo il silenziatore. Non si disturba il manovratore. Anche (e forse soprattutto) se fa finta di essere un devastatore. Finché arriva la Gabanelli e zac, Di Pietro in video non passa, ma trapassa. E l'Italia dei Malori finisce in coma.  Non è una bella fine per un eroe.  Abbandonato dagli elettori, attaccato dal suo stesso partito, sbugiardato in Tv e sui giornali, Di Pietro ammette la sua morte politica, dando di se stesso un quadro da lacrime agli occhi: nessuno lo ascolta, nessuno gli dà retta, gli altri partiti lo hanno isolato, se bussa a una porta è già tanto che non gli versino una bacinella d'acqua sulla testona. Povero Tonino: nessuno sa se ce la farà a risorgere, ma l'intervista per lui è davvero un Calvario.  Prova a difendersi dalle accuse, si scusa a mezzo stampa balbettando come in tv, incespica sulle risposte  anche più semplici. Poi in un colpo butta a mare tutta la sua storia politica:  sono morto – dice in sostanza – perché ho smesso di fare quello che facevo l'altro giorno, cioè il servo del sistema. Autocrocifissione pubblica. Alleluia. Senza un passato da rispettare, con un presente cadaverico e un futuro incerto, che cosa resta dunque a Di Pietro? Poco. E infatti prova  a gettarsi tra le braccia di Grillo. Nell'intervista non perde occasione per incensarlo: «Tiferemo Beppe Grillo», «Userò i mezzi usati da Grillo», «Io Beppe Grillo lo ammiro e lo copio». E Beppe Grillo risponde immediatamente dal suo blog: «Tonino l'unico che ha tenuto la schiena dritta in un Parlamento di pigmei», scrive. E poi lo candida per il Quirinale. Scambi di effusioni, trottolini amorosi dudududadada.  Considerato l'autocertificazione in morte di Di Pietro, però, trattasi di trottolino cadavere, amore postumo, tenerezze alla memoria. Praticamente rischio necrofilia.    

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