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Il giudice Esposito, la grazia al Cav e il Washington Post negli editoriali dei maggiori quotidiani

Ferrara, Travaglio, Sallusti, Belpietro, Mauro

Nicoletta Orlandi Posti
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Il giorno dopo la bomba dell'intervista del giudice Antonio Esposito con la quale anticipava al Mattino le motivazioni della condanna di Silvio Berlusconi nel processo Mediaset, Marco Travaglio invece di farsi qualche domanda sul comportamento del magistrato torna a raccontare sul Fatto, come un disco rotto, i "crimini" del Cav. L'occasione è un attacco a Angelo Panebianco, corsivista del Corriere, che sostiene che "la condanna definitiva di Berlusconi non dipende dal fatto che è un frodatore fiscale, ma dallo "squilibrio di potenza fra magistrati e politica". In pratica Panebianco punta il dito sulla magistratura, "un potere molto più forte e unito" della politica che, al contrario è un "potere debole e diviso". Apriti cielo. Travaglio bacchetta l'editorialista ripercorrendo la storia di Silvio Berlusconi dal 1979 per dimostrare che "la carriera criminale di B., che froda il fisco da quando aveva i calzoni corti. E se non fu scoperto all'epoca, è perché con i fondi neri corrompeva i poltici, Guardia di Finanza e giudici che avrebbero potuto scoperchiare le sue frodi fin dagli anni Settanta". Dopo una pagina e mezza di cose dette e ridette Travaglio conclude così: "Sarebbe questo il sintomo di una politica debole e di una giustizia forte? E che c'entra, con questa fogna, la politica?". Di certo, sostiene Maurizio Belpietro nel suo editoriale in edicola oggi su Libero, "per il Cavaliere esiste una giurisprudenza speciale, cha fa caso a sé e ogni volta stupisce. Se per altri l'assenza della pistola fumante o di una prova regina è elemento decisivo, nel processo contro l'ex presidente del Consiglio è un fatto marginale, praticamente trascurabile". Con le dichiarazioni di Esposito, continua Belpietro, "ieri si è registrato un altro passo avanti. Di solito, quando si fa una sentenza, poi si depositano entro qualche settimana le motivazioni, argomentando nel dettaglio perché si è giunti a una certa conclusione. Il presidente Esposito invece è protagonista di una innovazione giuridica: le motivazioni via intervista. A soli pochi giorni dal pronunciamento, il magistrato ha affidato le sue riflessioni a un cronista del principale quotidiano partenopeo. Non si tratta di un'intervista rubata o di due battute strappate all'improvviso in un corridoio del tribunale, ma di una lunga conversazione, nella quale il giudice trova modo di manifestare il proprio rincrescimento per  non aver potuto fare entrare le telecamere nel Palazzaccio".  Alla luce di tutto ciò Alessandro Sallusti dalla prima pagina del Giornale chiede l'annullamento del processo e la radiazione del magistrato. "Altro che grazia a Berlusconi", tuona il direttore. "Una sentenza emessa da un uomo di questo genere non dovrebbe avere nessun valore. Anzi, Esposito dovrebbe essere radiato dalla magistratura per comportamenti indegni. Se la caverà ovviamente perché cane non mangia cane". Eppure, insiste Sallusti "secondo alcuni giuristi ci sarebbero gli estremi per annullare la sentenza. L'associazione dei magistrati si è affrettata a dire che è tutto regolare. Già, è regolare affidare la vita degli uomini (e di questo Paese) a giudici scellerati e pure bugiardi".  Di "errore inopportuno" parla anche Ezio Mauro su Repubblica, ma solo a dimostrare che non bisogna dare a Berlusconi e ai "suoi cantori, ai suoi uomini, i suoi collaboratori" altri motivi per far sentire Berlusconi un essere speciale da mettere al "riparo della legge, anzi sopra, o meglio fuori". "Nel momento della condanna", scrive il direttore, "Berlusconi chiede di non essere più considerato cittadino e pretende che il suo ruolo di leader gli garantisca uno statuto speciale, perché così vuole il popolo che lo ha scelto. Sembra di sentire D'Annunzio in un altro momento supremo a Fiume..." Mauro striglia infine la sinistra che dovrebbe "leggere i pericoli e i segnali di questo passaggio e dare subito un'altolà definitivo".  Di tutt'alto parla invece Giuliano Ferrara. Il pezzo in prima del Foglio firmato con l'elefantino rosso mette sotto la lente l'acquisto del Washington Post da parte di Amazon, e il tentativo di Diego della Valle di prendersi il Corriere della Sera a dimostrare il "funzionamento del capitalismo americano, una testimonianza della sua vitalità, del fatto che le crisi li ristrutturano, cambiano i termini di una vecchia organizzazione del potere, anche di quello simbolico e mondano, anche anche di quello specifico settore d'influenza che è un giornalone di nome e qualità mondiali insediato nell'establishment washingtoniano". "Da noi, invece", commenta Ferrara, "è la solita lagna".

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