Cerca
Logo
Cerca
+

Il ministro è colpevole (di inadeguatezza), il Parlamento lo grazia

Alfonso Bonafede, ministro delle Giustizia

Francesco Specchia
  • a
  • a
  • a

Ora “Dj Fofò” è contento. “Dj Fofò” era il suo nome di battaglia quando, giovanissimo, lavorava nelle discoteche; oggi che è grande e fa il Guardasigilli e che il frastuono non viene dalla console ma dall’Aula del Senato, be’, Alfonso Bonafede può dar respiro ad un volto paonazzo quanto le sue riforme.

 

 

 

 

Ora che Palazzo Madama ha respinto entrambe le mozioni di sfiducia contro di lui (quella del centrodestra conta 160 contrari; per quella di +Europa 158, Renzi ovviamente s’è sfilato), il ministro può tornare alla quella claustrale concezione del diritto che tanto ha fatto traballare l’esecutivo, regalando ai cronisti una pochade diversa rispetta alle solite cronache da Covid. Eppure. Eppure, su Bonafede, non ha tanto pesato l’accusa di non aver nominato a capo del Dap Nino Di Matteo al posto di Francesco Basentini mentre i capimafia avrebbero brindato alla scelta. Quella vicenda era di per sé vapore acqueo istituzionale: un ministro, in fondo, può nominare chi cavolo gli pare e soprattutto non ce le vedo frotte di picciotti che fanno la ola per la suddetta decisione, se non altro perché il ministro, nella sua foga giustizialista, è davvero colui che ha spinto oltre 100 detenuti al 41bis ed ha inasprito le pene per il voto di scambio mafiuso. No. Non c’erano davvero gli elementi di merito per sfiduciarlo per questa fesseria, né sul fatto che fosse stato troppo morbido sulla gestione carceri, o troppo garantista. Tra l’altro, l’uomo è persona perbene. Il problema, semmai è l’altra accusa -quella più sussurrata della Bonino nelle interviste- di “inadeguatezza e incompetenza”. Cioè: Bonafede non ha lo standing per fare il ministro della Giustizia, né la struttura ossea né quella normativa. E forse l’ultima riprova di questo, la si è avuta l’altra sera in un’interessante puntata di Report su Raitre dedicata agli effetti nefasti della Spazzacorrotti di Bonafede sul proliferare delle fondazioni politiche, una rete di 150 associazioni che eludono sistematicamente i controlli di bilancio e sulle donazioni (Rousseau compresa) alla faccia della trasparenza. Davanti alla giornalista Claudia Di Pasquale che lo informava, dati alla mano, delle storture delle Spazzacorrotti il ministro non sapeva, traccheggiava, annaspava: “Il lavoro che avete fatto voi è importantissimo sia per informare i cittadini sia per informare me. C’è sempre la possibilità di migliorare…”. Certo che c’è. D’altronde sulla sua legge contro la prescrizione, nell’ambito del grande disegno irrealizzato della riforma del processo penale, molto ebbero da dire schiere di avvocati e magistrati e perfino nomi di peso come Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali (“giustizialismo ossessivo”) o l’ex ministro Giovanni Maria Flick (“non si può parlare solo di prescrizione tralasciando tutto il resto. E qui si tende a fare confusione tra la prescrizione e la ragionevole durata del processo. E si vuole stabilire uno stesso identico limite per reati e per processi completamente diversi. Non funziona così”). Bonafede, però, è anche quello che ha dimostrato un totale disinteresse al tema delle carceri italiane, così come un silenzio innaturale sulle rivolte e sui decessi negli istituti di pena durante il lockdown. Bonafede è quello che è inciampato nella scarcerazione dei boss da Giletti e nelle dichiarazioni squisitamente forcaiole tipo “gli innocenti non finiscono in carcere” nonostante i 27mila errori giudiziari annui registrati dal suo stesso dicastero. Ed è quello che equipara i reati contro la pubblica amministrazione a delitti di stampo terroristico, mafioso, pedopornografico, decidendo -con soffio di fantasia legislativa- che di fatto le misure alternative al carcere si possano concedere solo ai pentiti. Ed è il fine giurista che s’è visto dichiarare dalla Corte Costituzionale a febbraio l’incostituzionalità della sua legge nella parte relativa alla sua retroattività; e per capirlo non è che ci volesse un genio, bastava una matricola di giurisprudenza.

Però, adesso, Dj Fofò è contento…

 

 

Dai blog