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Lo strano caso dell'urologo candidato allo Strega

 Andrea Salonia, medico e scrittore

La professione di medico, l'insegnamento al San Raffaele, i viaggi intorno al mondo e un primo romanzo candidato al premio letterario. Ora esce col nuovo libro, ed è subito fenomeno

Francesco Specchia
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Una tonaca da comboniano combattente, un camice da medico, in mezzo un’indagine sul sacro che nemmeno Ignazio Silone ai tempi dell’Avventura di un povero cristiano.

E’ questo, in sintesi, il fenomeno letterario del momento. Trattasi d’un romanzone dalla scrittura antica e poderosa, Odiodio (quasi un palindromo in una sciarada, La Nave di Teseo, pp 450, euro 20) che sta scalando le classifiche raccontando la storia di Faustino, ragazzino comasco con forte interesse per la botanica, l’Inter e l’eco delle parole appena scoperte; il quale diventa il perno di una doppia conversione.  

E’ la storia di una vocazione missionaria (“Dio, Lui mica mi ha detto nulla, mi ha chiamato e poi se n’e stato in silenzio”); di un dialogo contrastato con l’Onnipotente; di viaggi africani e francesi per ritornare all’armonia del paesello; dello spretarsi per amore; e del subire, in seguito, l’annichilimento della propria compagna, Nives, ridotta allo stato vegetativo nell’idea di “essere una matita bianca” confusa “nella scatola di metallo” di matite dai colori accecanti. Massimo Cacciari definisce Odiodio “un vero romanzo di formazione” piegato su un atto di fede. Ed è vero. Il romanzo sta suscitando polemiche tra i laici che lo considerano troppo religioso e i cattolici che lo ritengono irreligiosamente laico. Il 12 ottobre la presentazione del libro chiude, in pompa magna, la stagione del Circolo dei lettori di Milano, alla presenza dell’editore Elisabetta Sgarbi, dei fan, e delle autorità tutte.

Ma ancora più interessante del romanzo è la storia del suo autore. Andrea Salonia, Como, classe ’71, di professione fa il medico. Ma non è un medico qualsiasi: un medico condotto alla Andrea Vitali, un medico monaco alla Rableais o un medico sulla carta -per scrivere o intestata di Palazzo Madama- come Carlo Levi. Salonia è un rinomato urologo. Docente della materia e presidente dell’International Medical Doctor Program il corso in lingua inglese all’Università San Raffaele, scuola Montorsi, Salonia figlio di un commercialista comasco di origine sicliana e di una professoressa di francese, venne assunto, anni fa, direttamente dal fondatore dell’Ospedale milanese, Don Luigi Verzè. Il quale Verzè l’accolse, con allegra austerità tutta veneta, nel suo ufficio in alabastro, il pettorale del cardinale Shuster in bella mostra, citandogli Sant’Agostino quando diceva “che serve attraversare Dio per arrivare all’uomo”. Salonia non lo prese come un monito cristiano, ma come una laicissima piattaforma programmatica.

Da allora il prof, a forza di mettere “l’uomo sempre al centro” e senza perdersi nello spirito del buon samaritano, imposta le sue giornate in modo maniacale. “Inizio al mattino presto con attività di ricerca, poi giro in ambulatorio, pomeriggio sala operatoria o all’Istituto di urologia che dirigo. La scrittura la approccio nei ritagli, periodi di ferie o durante i viaggi in areo o in treno. Il primo romanzo su un supertreno giapponese, il secondo durante un viaggio in Colombia…”, ci racconta. Salonia, nei brandelli di tempo che gli rimangono fa il volontario alla San Vincenzo. Ma ha pure attraversato su una Harley Davidson l’America coast to coast “in compagnia di due amici chirurghi vascolari”; ed è rimasto prigioniero durante un colpo di Stato nella Guinea Bissau; e si è spinto fino ai confini impervi dell’Uganda, solo per vedere dal vivo i gorilla di montagna; e ha scoperto la musica tzigana di Goran Bregovic in un bar da film, nel cuore del deserto di Atacama in Cile. Nella sana tradizione dei medici-scrittori, Salonia faceva spuntare tra i testi di anatomia, fisiologia e farmaco quelli da lettore onnivoro soprattutto di letteratura italiana. Da studente pendolare, divorava libri spostandosi sui trenini della TreNord, “quelli coi sedili fatti di doghe in legno sopra lo scaldino”. “Corrado Alvaro, Giovanni Arpino, le Conversazioni in Sicilia” di Vittorini, e Tomizza, Gadda, tutto Pirandello e la trilogia dei Nostri Antenati di Calvino: sono tutti nella mia testa”, ricorda. La sua ossessione per l’editoria lo spinge verso la Rizzoli, a pregare di essere assunto. Ottiene, in risposta, da Marco Ausenda Chief editor della casa editrice “al massimo uno stage” e la presentazione al corso di scrittura di Laura Lepri “che dà l’impressione di non saper fare nulla, ma ti impartisce l’artigianato della narrazione, ti mette la millimetria nelle mani, ti consegna i punti di vista, i dati storici, le soggettive”.

Salonia, a quel punto, senza pensarci, in una trance narrativa sempre nelle pause della sala operatoria, buttà lì il suo primo manoscritto Domani, chiameranno domani, un accurato lavoro di scavo nella psicologia di un tizio agli arresti domiciliari. Glielo pubblica Mondadori. E il romanzo, così, senza preavviso, viene subito candidato al Premio Strega. Gli danno la notizia mentre sta prescrivendo una risonanza magnetica prostatica. Da lì cominciano a chiamarlo tutti. Rosellina Archinto, editrice e nota fustigatrice di giovani promesse gli telefona per congratularsi “Caro Salonia, la sua è una scrittura grassa come ne vedevo da tempo…”. Elisabetta Sgarbi fiuta il talento e lo fa entrare nella scuderia de La Nave di Teseo. E lui, per tornare a bomba, sforna, appunto, Odiodio, che parte dall’Inter di Herrera come metafora della storia d’Italia, attraversa le periferie brulicanti d’umanità degli anni 80 e si concentra sulle inquietudini che attanagliano ogni cristiano: “L’essere in dubbio. Questo era il secondo e più importante esercizio del quotidiano del vivere da seminaristi e postulanti: bisognava dubitare. Mettere in discussione il Cristo ma ancor più la nostra scelta di vivere in completa e assoluta simbiosi con lui”, dice il suo seminarista Faustino prima di diventare “Padre Faustino”.

 Salonia rimane uno dei quei medici a cui il Covid ha incasinato la vita, trasformandone i reparti in trincee. Oggi lo aiuta, ad affrontare i suoi assistiti, la sua doppia, attuale natura: “Come medico continuo a mettere l’uomo al centro del racconto, come scrittore entro subito in empatia con i pazienti. Nelle visite a domicilio l’occhio mi cade sempre sul comodino: se c’è sopra un libro (c’è quasi sempre), mi siedo, mi metto a discutere col malato della trama, del cuore che ci ha messo dentro lo scrittore; e l’applicazione dello stetoscopio e tutto il resto diventano gesti assolutamente naturali…”

 

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