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Generale Maurizio Boni, "attacco subdolo dei russi in Italia: ecco il loro obiettivo", arriva la cyberguerra

Mirko Molteni
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Le forze della Nato vigilano per evitare scontri con forze russe sulle frontiere. Ne parliamo col generale italiano Maurizio Boni, che è stato dal 2007 al 2010 distaccato al Comando interforze Nato di Lisbona, dal 2011 al 2012 comandante della brigata di Cavalleria “Pozzuolo del Friuli” e dal 2014 al 2016 capo di Stato Maggiore del Nato Rapid Deployable Corps.

 

 

 

Generale, rischiamo incidenti militari fra Russia e Nato, tali da scatenare una guerra mondiale?

«Ritengo impossibile un vero incidente di frontiera, cioè un evento non voluto, lungo i confini dell'alleanza, poiché la tecnologia offre sistemi di controllo e comunicazione in tempo reale che azzerano la possibilità di malintesi. Inoltre, il meccanismo di sicurezza della Nato è programmato da ben 8 anni, da quando nel 2014 venne alla ribalta la prima crisi ucraina, con le ribellioni nel Donbass e l’annessione della Crimea alla Russia. L’unica possibilità che ci possa essere un incidente militare è che siano i russi a volerlo, ma lo ritengo improbabile».

Qual è il grado di prontezza delle forze occidentali schierate per dissuadere Mosca?

«Le forze Nato s’avvalgono della NRF, la NatoResponse Force, la forza di risposta rapida che conta 40.000 soldati ed è in grado di risponderealleminacce.Al suo interno, dal 2014 è attiva una punta di lancia, la Very High Readiness Joint Task Force (VJTF) per gli interventi immediati, costituita da 4 battaglioni, circa 4000 uomini, rappresentativi a turnazione dei Paesi dell’alleanza. La NRF è direttamente sottoposta al SACEUR, il Comandante supremo alleato in Europa, che è il generale americano Tod Wolters. Nel caso di un attacco a un Paese membro sono già predisposte le procedure di consultazione rapida che permettono ai 30 Paesi membri di decretare l’entrata in azione dell'articolo 5, il cardine del trattato di Washington del 1949, fondativo dell’alleanza, poichè è quello che impone la difesa solidale collettiva. La Nato è basata sul consenso e per attivare l’articolo 5 è necessaria l’unanimità fra gli stati membri. Ricordoinfine che èimportanteil collegamento logistico attraverso l’Atlantico, per garantire flussi di rinforzi americani all’Europa. Personalmente mi occupai di ciò quando lavorai presso il comando interforze di Lisbona, dato che gli approdi portoghesi sono fra gli snodi più importanti della retrovia oceanica della Nato, come anche la base navale di Norfolk, negli Usa».

 

 

 

Se però l’articolo 5 della Nato può essere attivato solo con l’unanimità dei membri, non c’è il rischio che, per ipotesi, la Russia invada una delle repubbliche baltiche e poi l’autodifesa collettiva venga bloccata da un veto della Turchia, che sappiamo agire con logiche geopolitiche autonome?

«In linea teorica, sì, potrebbe essere possibile che un Paese Nato voti in senso contrario e blocchi l’attivazione dell'articolo 5. Del resto, se un paese lo facesse non sarebbe possibile nemmeno sanzionarlo o minacciarlo di espulsione dall’alleanza. Credo però che il punto fondamentale sia quello dell’attribuzione di un attacco a un particolare aggressore, chenon sempreè possibile con sicurezza, specialmente nel caso delle offensive informatiche, oltre a un discorso di scala e proporzionalità».

Certo, scatenare una guerra perchè hackers russi fanno impazzire i bancomat di un Paese Nato, sarebbe una reazione sproporzionata. Ci faccia esempi...

«Nel 2007 le autorità dell’Estonia spostarono un monumento ai soldati sovietici, retaggio di quando il Paese era parte dell’Urss, dal centro di Tallinn a un cimitero. Un cyberattacco russo di ritorsione alle strutture informatiche estoni causò problemi negli ospedali, nelle strade, negli acquedotti. In più la minoranza estone di lingua russa inscenò proteste violente per settimane. L'Estonia era già nella Nato, ma l'aggressione cibernetica non era abbastanza devastante da attivare l'articolo 5. Comunque, attribuire la responsabilità di un attacco informatico a un Paese specifico è sempre difficile. Anche l'attribuzione di un'offensiva reale può talvolta essere ardua. Nel 2014, quando iniziò la guerra in Donbass, si disse che i russi già allora affiancavano i miliziani locali introducendo dalla frontiera soldati senza insegne, soprannominati "omini verdi". La Russia ha sempre detto che quei misteriosi "omini verdi" erano solo cittadini russi che a titolo privato, come volontari, aiutavano i russofoni delle repubbliche di Donetsk e Lugansk. Anche molti dei carri armati usati dai ribelli furono probabilmente infiltrati dalla Russia, sebbene i russofoni dicessero di averli catturati all'esercito ucraino. Uno scenario con forze sotto copertura rende più difficile attribuire un'aggressione».

Tra le forze italiane schierate a Est ci sono anche 8 caccia Eurofighter Typhoon dell'Aeronautica nella base di Costanza, in Romania. Se intercettassero aerei russi che violano lo spazio aereo rumeno, e se fosse acclarato un intento ostile, qual è il grado di autonomia del nostro personale? In una missione aerea si risolve tutto in pochi minuti, pare impossibile che i piloti chiedano il permesso fino a Roma per aprire il fuoco. O no?

«Le forze italiane, come il resto delle forze Nato dispiegate a Est, rispondono a precise regole d'ingaggio messe a punto negli anni, tali per cui ogni militare sa esattamente quale è il suo compito e sa come regolarsi in ogni caso previsto. Ma i dettagli precisi di queste regole d'ingaggio sono, e devono rimanere, riservati».

 

 

 

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