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Luciana Littizzetto, lo show sui magistrati: lo sfregio agli italiani finanziato col canone

Giovanni Sallusti
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Luciana Littizzetto ha un sua indubbia utilità. Appena esce dalla sua comicità da ultimo banco in seconda media (bisogni fisiologici, organi sessuali e rutto libero) ci squaderna immancabilmente l'essenza dell'odierno pensier(in)o di sinistra. Nell'ultima puntata di "Che tempo che fa", Lucianina ci ha offerto un saggio sulla democrazia secondo lorsignori. Tema: i referendum sulla giustizia del 12 giugno.

 

Svolgimento: «Custodia cautelare e legge Severino ancora ancora, ma elezione Csm, separazione delle carriere, elezione consigli giudiziari ma che cacchio ne so? Per chi ci avete preso? Per 60 milioni di Giuliani Amati? Siamo forse dei Perry Mason?». No, banalmente saremmo dei liberi cittadini di una democrazia occidentale, che sarebbe cosa diversa dall’oligarchia dei sapienti e da qualunque forma di oligarchia (non si capirebbe altrimenti perché opporsi al regime putiniano, en passant).

«Pensate che la mattina sul water leggiamo il manuale di diritto costituzionale?». Certamente no, Lucianina, chi scrive propende per Tex Willer, ma quest’apologia sospetta dello specialismo elevata da chi è avvezzo a sproloquiare sulla “Jolanda” e il “Walter” cozza lievemente con la storia e con lo spirito dello strumento referendario. Il referendum sull’aborto fu votato solo da chi aveva le complesse nozioni di bioetica e diritto comparato sottese alla soppressione arbitraria di una vita potenziale? Nei referendum contro il programma nucleare si pronunciò solo quella fetta di esperti in grado di valutare appieno le ricadute energetiche e geopolitiche di una scelta chiusurista? No, giustamente, e infatti sono cosiddette "conquiste civili" che nei tinelli televisivi progressisti celebrate una sera sì e l'altra pure.

«Non è che la sera a tavola a Sondrio o a Reggio Calabria si parla della separazione delle carriere dei magistrati». Quanto ti sbagli, Lucianina, e siamo felici per te, vuol dire che non sei mai stata afferrata dall'anomalia suprema del processo alle nostre latitudini: la contiguità fattuale, fisica e intellettuale tra chi inquisisce e chi giudica, e quindi la sostanziale non parità delle condizioni tra accusa e difesa. Non è un distinguo accademico, è la stortura che impatta sulla vita delle persone, delle famiglie, delle aziende e non solo nel caso (già aberrante) si chiamino Ligresti, ma anche in quello di frotte di "sconosciuti" che pagano quotidianamente una giustizia orba, lenta, disequilibrata.

 

Ma questa è realtà, lei chiude in crescendo ideologico: «Due erano i referendum che ci stavano a cuore: l’eutanasia e le droghe leggere. Perché in quel caso noi cittadini votavamo con la nostra coscienza». Perché scusaci, Lucianina, nel caso della giustizia è impossibile votare secondo coscienza? È impossibile votare pensando al calvario di Enzo Tortora, ai sommersi dalla sbronza giacobina di Mani Pulite, alle rivelazioni dei libri di Palamara scioccanti per chiunque riconosca un vago senso all’espressione “Stato di diritto”? Facci capire, i referendum vanno bene quando sostengono battaglie care a te, Fazio e soci di prima serata, mentre in caso contrario si capovolgono in strumento del demonio, perché interpellano il popolo bue? Fa un brutto tempo per la democrazia, ma anche per la logica.

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