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Linus, l'impensabile appello a suo figlio: "Non farlo mai, quel mondo..."

Francesca D'Angelo
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Linus, per i 40 annidi Radio Deejay, darete una mega festa a Milano il 25 e 26 giugno. Altro che Deejay chiama Italia: questo è un raduno in piena regola... «Sai com' è, eravamo gelosi dei raduni degli alpini e, per una volta, volevamo farne uno anche noi! Perché loro sì e noi no? (ride, ndr)». Ci saranno persino il padel e i giochi animati da Cartoon Network. «Il nostro pubblico è cresciuto con noi, nel senso che nel frattempo si è sposato, ha figliato e si è riprodotto... Era giusto pensare a tutta la famiglia. La verità è che non volevamo organizzare il solito concertone dove vai, balli ma poi la cosa finisce lì. Abbiamo immaginato una mega festa che coinvolgesse attivamente le persone e dove si potesse mangiare, fare sport, conoscersi, stare insieme».

 

 

Praticamente tutto quello che non abbiamo fatto negli ultimi due anni?
«Esatto: facciamo un bel corso di recupero...».

Tu sei a Radio Deejay da sempre. Possibile che non ci sia mai stata una lite epocale, da farti sbattere la porta e alzare i tacchi?
«La domanda ci sta, anche perché sono un tipo abbastanza mutevole, sia di umore che di interessi. Eppure, credimi, nella mia vita le uniche due cose che sono rimaste sempre uguali sono proprio la passione per la radio e questa radio in particolare. Perché, sì, il mestiere è sempre quello, ma il "paesaggio" attorno è ogni volta diverso e bellissimo. Negli anni 70 c'era una certa musica e un certo modo di fare, e così è poi stato per gli anni 90 e 2000».

Nel podcast "Sei boomer papà" hai però dichiarato: "Non voglio che mio figlio faccia il deejay in discoteca". Perché?
«Perché conosco l'ambiente: è un mondo pieno di tentazioni e di valori artefatti. Guarda, sarei più contento se facesse un lavoro completamente diverso dal mio».

Non so perché, ma la vedo dura...
«Eh, il più piccolo è bravissimo a mettere i dischi e sta già facendo qualcosa in giro. Questo però vuol dire confrontarsi ogni volta con il fatto di essere "figlio di" o "nipote di": capisci che è pesante».

Alla peggio, puoi sempre disconoscerlo.
«O lui disconoscere me. Cosa che credo farà presto! (ride, ndr)».

Le discoteche sembrano diventate il luogo d'elezione per abusi, droghe e bullismo. Era così anche prima?
«Il problema non è mai il luogo: i ragazzi si picchiano in strada come nei locali. Le discoteche rispecchiano semplicemente il periodo storico in cui si vive. Quando ho iniziato io, negli anni 70, eravamo appena usciti dagli anni di piombo e c'era il mito dello Studio 54. Era quindi un luogo gioioso. Adesso, invece, è finita la musica da discoteca, concepita espressamente per questi luoghi, e quindi la gente non ci va più per la musica ma per socializzare. Il problema è a monte: tra i giovani serpeggia una forte aggressività esibita».

In Svizzera le femministe hanno chiesto di boicottare il concerto di Fabri Fibra in quanto omofobo e sessista. È una richiesta legittima o la musica deve restare libera?
«Guarda, quest' ossessione per l'integrità morale delle persone mi sembra eccessiva, soprattutto se applicata all'arte: se fosse davvero così, allora Caravaggio non avrebbe dovuto esporre nemmeno un quadro! Poi è chiaro che ci devono essere dei limiti: alcuni rapper li superano, ma nel caso di Fabri Fibra questa polemica mi sembra una stupidaggine. Lui è una persona super intelligente».

I concerti traslocheranno nel metaverso?
«È un mondo destinato sicuramente a crescere ed evolvere, anche se io resto un grande fan dei rapporti umani, dal vivo. Mi fa impressione vedere la gente con la sigaretta elettronica in una mano e, nell'altra, il cellulare: a volte sembrano incerti su quale dei due oggetti succhiare o guardare...».

Oggi lo spettacolo, inteso come coreografia e costumi, è parte integrante della musica: Achille Lauro docet. Poi però uno va a sentire Billy Joel e capisce che quello che conta sono solo le canzoni. Stiamo dando troppo peso all'immagine?
«Purtroppo sembra che l'immagine sia più importante dei contenuti e qualche volta lo è. Per esempio, Achille Lauro si è forse un po' perso per strada perché ha dato più importanza alla confezione che non alla ricerca artistica. So che ora lui mi menerà, ma lo dico con grande affetto nei suoi confronti. Lo stesso vale per i Maneskin».

In che senso?
«Per ora il loro repertorio è fatto di alcune buone canzoni ma non hanno ancora dimostrato di sapere comporre un brano all'altezza della loro popolarità. Certo, sono ancora giovani, hanno tempo per crescere, a livello tecnico sono bravi e la loro presenza scenica è strepitosa, ma per durare nel tempo devi avere anche qualcosa di importante da dire».

Intanto martedì a Milano arrivano i Rolling Stone. Senti, dimmi la verità: a una certa, i rocker non dovrebbero mollare?
«Per me sono come dei pittori che espongono, in giro per il mondo, i propri quadri. Non mi formalizzo sul dato anagrafico... A patto che non facciano dischi nuovi... Purtroppo la musica pop e rock finisce sempre per ripetersi. Quindi lunga vita ai Rolling Stone, ma niente novità, grazie».

Invece chi secondo te farà strada tra i giovani?
«Blanco. Se penso all'età e a tutto quello che ha fatto in un anno... è stato fantastico. Ora però lui e le persone che lo circondano devono restare lucidi perché il pericolo è inflazionarsi. Il mio consiglio sarebbe di fermarsi e di tornare tra un anno con una versione 2.0 di se stesso».

Altri nomi?

«Onestamente no: gli altri si somigliano un po' tutti. Purtroppo non ho mai vissuto un momento musicalmente così effimero come quello attuale».

È un problema tecnico o creativo?

«Direi musicale: sono sparite le chitarre, è diventato obbligatorio restare compressi in 2' al massimo e soprattutto bisogna suonare qualcosa che arrivi subito. Eppure io stesso, che ho esperienza e orecchio, non ho apprezzato di primo acchito le canzoni che sono poi diventate eterne: ci ho messo un po' per apprezzarle. Oggi invece la canzone che ti conquista in 5' ti ha già stancato dopo un'ora».

Amadeus o Maria De Filippi: chi tra loro sta aiutando di più la musica?

«Urca, ma tu vuoi mettermi in imbarazzo...».

Tanto già Lauro ti deve menare: uno in più o in meno...

«Entrambi. Mi sono complimentato personalmente con Amadeus perché è stato bravissimo a gestire Sanremo. Quanto a Maria, è una forza della natura e mi piace il modo con cui mi coinvolge ad Amici. Mi dice: "So che non ti piacciono le cose che facciamo ma proprio per questo voglio il tuo giudizio"».

Milano è diventata più pericolosa e c'è chi dà la colpa ai rapper criminali. Tu che dici?

«Dico che questo è un problema che accomuna tutte le città, mica solo Milano. Alla base ci sono una scarsa vigilanza, ma soprattutto un problema di integrazione. Oggi i figli di seconda generazione magari non devono faticare per guadagnarsi il pane, come in passato, ma patiscono comunque il benessere superiore ostentato dai loro coetanei».

 

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