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Luigi Di Maio, la profezia di Gianfranco Rotondi: "Vi dico che fine farà..."

Antonio Rapisarda
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Luigi Di Maio - parafrasando la pur sfortunata investitura di Giuseppe Conte - sembra destinato a diventare «il punto fortissimo di riferimento dei democristiani». Sarà così? Lo chiediamo a Gianfranco Rotondi, allievo di Fiorentino Sullo e ultimo nativo Dc di stanza in Forza Italia.

Onorevole, è nata una nuova "stella" democristiana?
«Penso che si stia abusando dell'aggettivo. Ogni volta che appare un linguaggio educato e un vago senso delle istituzioni si è portati oggi a riconoscere in ciò un diccì. Questo va bene al giudizio sulla Dc, che torna di moda, ma non basta una postura istituzionale per fare un democristiano».

 


 

Eppure "Giggino" viene dipinto con le fattezze di Giulio Andreotti...
«Quelli che vogliono denigrarlo pensano di attaccargli addosso la fama negativa di Andreotti. Quelli che lo vogliono elogiare pensano di ribattezzarlo con l'ascendente positivo "andreottiano". Premetto che Di Maio lo stimo e l'ho apprezzato subito quando l'ho visto presiedere Montecitorio con la stessa autorevolezza di Casini. In realtà, però, non c'entra nulla né con Andreotti né con la Dc. Del resto, i suoi esordi giovanili sono stati tutti nella sinistra di Pomigliano D'Arco: una scuola non meno esigente e prestigiosa».


Se non è democristiano, di certo oggi è un neo-centrista. Su Libero lo abbiamo investito come capitano-federatore del "Centro football club": i draghiani pronti a scendere in campo...
«Immaginare di federare i centristi è come pensare di riunire le aspiranti Miss Italia la sera prima dell'elezione per mettersi d'accordo fra loro su chi vince».

Al momento sembrano tutti pazzi per l'ex grillino.
«Renzi dice che Di Maio si deve chiudere in convento per un anno prima di parlare; per Calenda deve farsi un giro fuori dalla politica. Renzi poi dice che Calenda la fa fuori dal vaso e Calenda sostiene che Renzi si deve vergognare. Tutti e due dicono di no a Conte e a Di Maio e nessuno vuol parlare con Toti perché, quando porta i voti, è uno che si è ravveduto, quando presiede il governo di centrodestra della Liguria è un rinnegato. Brugnaro è un sindaco di centrodestra che ha fatto un partito unendo parlamentari eletti con Forza Italia ma dal suo partito ne sono nati già tre: una moltiplicazione del pane e dei pesci "lagunare". La verità è che questa lotteria centrista finirà a borsettate».

E pensare che abbiamo convocato lei come riserva di lusso...
«Sono proprio l'ultima riserva proprio perché non "centro". Io credo che in Italia dobbiamo tornare alle culture politiche. Il centro non è una cultura politica: è un concetto geometrico e sociologico. In geometria è uno che non sta né di qua né di là; sociologicamente è un elettorato mobile; politicamente non significa nulla».

Sta dicendo che ci sono più giocatori al centro che sostenitori?

«Helmut Kohl diceva che il centro è il perimetro degli elettori che si spostano da una parte all'altra. Se pure fosse vero non mi sembra che questi elettori intendano affidarsi a questi giocatori».

Tajani dice: siamo noi il centro. Potrebbero farsi allenare tutti da Berlusconi?

«Berlusconi è stato l'erede della Dc: ha fondato un polo che è stato il cardine del dibattito politico per quasi trent' anni. Oggi però mancano i voti che ieri avevamo. C'è una grande eredità culturale, perché Berlusconi e Tajani in Europa parlano oggi al posto dei grandi democristiani. Ma abbiamo bisogno di recuperare un progetto: il popolarismo per esprimersi ha bisogno di numeri alti. Del 40% non del 4%. Vale per i centristi ma vale anche per noi».

Dove può arrivare questo fantomatico terzo polo?

«Ha un suo spazio elettorale perché il Paese cerca comunque un punto di equilibrio e le due coalizioni sono abbastanza ammaccate: cederanno voti in uscita. Non escludo che come Monti e Casini anche questo "repertorio" possa provarci. Ma non credo che raggiungerà le due cifre». 

 

 

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