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Toni Capuozzo, "prima la situazione era perfetta": rosica per l'avanzata ucraina?

Giovanni Sallusti
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Qui si propone la fenomenologia di un tipo umano e mediatico salito prepotentemente alla ribalta dal 24 febbraio scorso, giorno dell'invasione putiniana dell'Ucraina (scusate, noi rustici chiamiamo ancora le cose col loro nome): il "complessista". La galleria dei complessisti ha infinite variazioni sul tema (si va dal narciso patologico all'antioccidentale di professione), ma condivide una premessa. Che poi è un eterno classico dell'anticonformismo da salotto iperconformista: non è come ve la raccontano. La posta in gioco non è nazione sovrana versus imperialismo, autodeterminazione versus dittatura, libertà versus tirannide (in questo senso, Neville Chamberlain era senz' altro un complessista rispetto a quel sempliciotto di Winston Churchill, che il nazismo voleva solo combatterlo). Gran maestro di tutti i complessisti è stato da tempo nominato a talk show unificati il saggista Alessandro Orsini, che ieri sul Fatto lamentava il «tifo da stadio» per la travolgente controffensiva ucraina, specie sul fronte nord-orientale di Kharkiv. Ovvero esattamente ciò che secondo il suo illuminatissimo e ricercatissimo parere non sarebbe mai potuto accadere, visto che già il 3 marzo, ospite a Piazzapulita, si affrettò a decretare la fine del conflitto, con il memorabile «Putin ha già vinto, ci vuole il coraggio di dirlo».

 

 

E il nostro di coraggio ne ha a bizzeffe: dopo la profezia strampalata sdottoreggia ancora su Facebook come se niente fosse. «Si sta verificando ciò che avevo previsto. A ogni sconfitta della Russia corrisponde un aggravamento del conflitto e una crescita delle devastazioni a danno dei civili». Se solo questi cocciuti ucraini avessero la buona creanza di non infliggere sconfitte allo Zar aggressore, la situazione sarebbe idilliaca. Una serie di contorcimenti linguistico-morali mica male, arricchita anche dal direttore Marco Travaglio. Certo, costui è assai meno abile in sofistica del suo collaboratore, e finisce per prendersela con un titolo cronachistico di Libero, «Ucraini al confine con la Russia», argomentando (per modo di dire): «Non vorremmo deludere nessuno, ma gli ucraini sono al confine russo da quando esiste l'Ucraina, che confina da sempre con la Russia. E lo erano anche prima della controffensiva».

Geniale: in questo modo le truppe di Kiev potrebbero recuperare il 99% dei territori al nemico, e non cambierebbe comunque niente. Sempre confinanti sarebbero, non c'è notizia, non c'è sconfitta e nemmeno passo falso dello zio Vlad. È quest' ammissione infatti che costituisce il vero terrore della compagnia di giro "complessista" che ruota attorno al Fatto Quotidiano, tra cui l'ex generale Fabio Mini, che qualche giorno fa, alla festa del giornale travagliesco, aggiornava il concetto di arrampicata sugli specchi.

 

 


«Quello che è successo in questi ultimi giorni non la vedo come la vittoria di una controffensiva ucraina. La Russia non ha subito una débâcle, ha lasciato dietro qualcosa e le forze ucraine sono riuscite ad andare avanti». Putin non sta perdendo, sta non-vincendo. La guerra è pace, direbbe Orwell (o al massimo operazione militare speciale, perifrasi più gradita al non-vincitore). Pur essendo più evoluto nell'analisi, un altro complessista doc, Toni Capuozzo, sembra quasi masticare amaro per questa serie di successi ucraini. Intervistato da La Verità (testata che fin dal nome evoca corrispondenze ideali con La Pravda), sospira: «Guardiamo com' era la situazione prima di quest' offensiva. A mio parere era perfetta per un negoziato, perché la Russia aveva la Crimea naturalmente (perché "naturalmente"? ndr), il Donbass, Kherson che fornisce acqua alla Crimea. L'Ucraina invece aveva salvato Kiev, il gran corpo dell'Ucraina centrale e occidentale e con Odessa lo sbocco al mare. Entrambe le forze potevano quindi cantare vittoria e leccarsi le ferite, ed era a mio avviso la situazione perfetta perché la guerra potesse chiudersi».


Non fosse stato per questa maledetta ossessione ucraina di liberare altre città, respingere gli invasori torturatori di civili (testimonianze e prove raccolte in questi giorni sono agghiaccianti), restituire le proprie case e le proprie vite ad altri compatrioti. Scene di libertà che non vanno giù ai "complessisti" perché, di fondo e al netto delle sfumature, in questi giorni paiono tutti preda di un sentimento molto semplice: il rosicamento

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