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Ratzinger? "Di chi aveva paura": la rivelazione che spiega quasi tutto

Renato Farina
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La lettura di “Che cos’è il Cristianesimo” senza punto di domanda - è l’esperienza di un incontro con un Papa (la firma è Benedetto XVI, non Joseph Ratzinger) ricchissimo di musica interiore. Attingerla è pura grazia per chi crede e ritrova le ragioni della sua speranza, e occasione imperdibile per chi vuol scoprire che cosa sia davvero quello che ha respinto in giovinezza come una favola, e magari lasciarsi infine afferrare da quel Dio. Detto questo, c’è un fatto niente affatto secondario: che costituisce l’aspetto doloroso del libro, e ne marca l’identità.

Scrive nella prefazione datata 1 maggio 2022 e firmata Benedetto XVI, evitando di aggiungere la dicitura “emerito”: (nessun mistero recondito: destinata a essere letta dopo la sua dipartita: emerito di fatto...): «Questo volume, che raccoglie gli scritti da me composti nel monastero Mater Ecclesiae, deve essere pubblicato dopo la mia morte. La curatela l’ho affidata al dottor Elio Guerriero, che ha scritto una mia biografia in lingua italiana ed è da me conosciuto per la sua competenza teologica.
Per questo gli affido volentieri questa mia ultima opera. Monastero Mater Ecclesiae 1° maggio 2022, festa di San Giuseppe».


 

ATTO DI UMILTÀ
I libri postumi di solito nascono radunando testi incompiuti trovati sulla scrivania, oppure pescando nei cassetti lavori rinnegati da un autore troppo importante perché si perda anche un solo frammento del suo eventuale genio. La verità è che nella maggioranza dei casi si tratta di operazioni editoriali più o meno meritorie, il cui significato si esaurisce spesso nel fatturato che ne ricavano gli eredi.

Non è questo il caso. La scelta di Benedetto è stata insieme un atto di umiltà, il non dar ombra all’unico Papa regnante, e la testimonianza della tragedia che ha vissuto e sta vivendo la Chiesa cattolica. Chi non si adegua al «collasso spirituale» che ne sta squarciando la stessa «essenza» (tra virgolette perché sono espressioni di Benedetto) è una preda da trofeo. Papa Ratzinger è stato abbandonato alla muta ululante dalla sua Chiesa, che non ha potuto o voluto difenderlo lasciandolo totalmente solo. Si badi: non sono i poteri mondani la vera minaccia al cuore del «Santo popolo di Dio» (Francesco), Benedetto denuncia le scorrerie di vescovi e cardinali, che usando come sicari teologi-grandi-firme, gli hanno dato la caccia quando era pontefice, fino a prosciugarne le forze, e poi non gli hanno risparmiato assalti di tipo «assassino» neppure dopo la rinuncia dell’11 febbraio 2013. Domanda inespressa ma latente: perché Francesco li ha lasciati fare, non ha adottato sanzioni canoniche o perlomeno moniti pubblici? Benedetto non li ha mai pretesi, anzi ha ringraziato pubblicamente per la vicinanza e la solidarietà private riservategli dal successore, ed oggi di certo, se il Principale di lassù lo autorizzasse, non esiterebbe a chiedere in sogno al Vicario di Cristo di non esagerare.Ma perché Ratzinger ha dovuto, letteralmente dovuto, rinunciare a spargere la sua musica interiore sul palcoscenico del mondo che ne ha bisogno più del pane? Non è stato certo papa Bergoglio a vietarglielo. 


 

Ma viene da osservare: gli assalti al gregge e in specie al suo vecchio pastore inerme perché sono stati accettati come espressione della libertà sinodale delle Chiese locali, invece che essere puniti? Non esiste solo il diritto del peccatore al perdono, spiega un dolentissimo Benedetto, ma anche quello del fedele perché sia tutelato il bene della fede. «Gesù ... protegge il bene della fede con una perentoria minaccia di pena per coloro che le recano offesa». Invece questo oggi non accade. C’è una crisi strutturale della barca di Pietro. All’origine del dissesto morale, c’è una abiura a Dio vivo e presente. Lo scafo è stato certo reso immondo dalla pedofilia del clero: non è però solo questione di immoralità dei singoli, ma di un vento ideologico dissolutore della fede nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, visibile nella corruzione della liturgia, nel disfacimento dei seminari dove il possesso di un libro scritto da Benedetto - lo denuncia lui stesso - è motivo talvolta per negare l’ordinazione sacerdotale ai reprobi considerati eretici ratzingeriani.


DOLORE E IRONIA
Scrive nella lettera al curatore Guerriero, dettandogli perentoriamente l’ordine di non pubblicare nulla ante mortem Benedicti: «Da parte mia, in vita, non voglio più pubblicare nulla. La furia dei circoli a me contrari in Germania è talmente forte che l’apparizione di ogni mia parola subito provoca da parte loro un vociare assassino. Voglio risparmiare questo a me stesso e alla cristianità». Si avverte dolore e ironia. Prevale infine la «letizia» nella certezza: Dio non abbandona né lui né la Chiesa né Pietro. Chiama in soccorso san Giuseppe. Il più grande intellettuale di questi decenni affida, a questo falegname, di cui non si conosce neppure una frase detta o scritta, letteralmente tutto. Le frasi di addio del libro postumo sono pura primavera: «Vedere e trovare la Chiesa viva è un compito meraviglioso che rafforza noi stessi e che sempre di nuovo ci fa essere lieti della fede. Alla fine delle mie riflessioni vorrei ringraziare papa Francesco per tutto quello che fa per mostrarci di continuo la luce di Dio che anche oggi non è tramontata. Grazie, Santo Padre!». Viva Francesco. Ma viva anche Benedetto.

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