Zar, generali, leader e politicanti: quante vittime illustri dell'ignoranza

Dagli strafalcioni di Di Maio alle topiche sull’Iran “arabo”, dallo scià a Radetzky all’Ucraina: in ogni epoca la politica ha spesso usato la storia in modo strumentale. O del tutto improprio
di Roberto Coaloadomenica 29 giugno 2025
Zar, generali, leader e politicanti: quante vittime illustri dell'ignoranza
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E rriamo tutti, ma ciascuno a suo modo. I potenti e gli uomini politici in generale, ad esempio, falliscono miseramente nel raccontare il passato e, in poche parole, riescono ad accumulare il maggior numero di inesattezze storiche. Si sbaglia per ignoranza, ma a volte nasce il sospetto che gli strafalcioni storici, l’apparente confusione di date e luoghi, siano, invece ben voluti dai presunti gaffeurs.

LE LEZIONI DI GIGINO
Nel Bel Paese sbaraglia qualsiasi concorrenza Luigi Di Maio per inesattezze storiche. Di Maio, che ancora oggi sarebbe il Rappresentante speciale dell’Unione europea per il Golfo Persico (vale a dire “il nostro uomo” sul fronte mediorientale), quando invece rappresentava l’Itala come ministro degli Esteri, in un momento di crisi nei rapporti italo-francesi scrisse una lettera a Le Monde, dove, superando qualsiasi logica storica affermò: «L’Italia e il governo italiano considerano la Francia come un Paese amico e il suo popolo, con la sua tradizione democratica millenaria, come un punto di riferimento». Scambiare Parigi con Atene c’est pas mal! Ma in poche parole si affoga nel sublime dell’incompetenza storica, che dimentica - hélas Fernand Braudel! - la presa di Alesia da parte di Giulio Cesare, con la Gallia in ginocchio per secoli, l’assolutismo, la Rivoluzione, il Terrore, la Restaurazione, Napoleone III... Sempre Di Maio resta insuperabile ai tempi del referendum costituzionale quando arrivò a paragonare il tentativo di Matteo Renzi di mettere mano alla Costituzione al golpe cileno. Dispiace, però, che dichiarò: «Come ai tempi di Pinochet in Venezuela».

TRAPPOLE PERSIANE
Oggi il pericolo dello strafalcione storico arriva dal Vicino e Medio Oriente. Si dice, ad esempio, che l’Iran è un Paese arabo. No, l’Iran è persiano, si tratta di un’altra identità culturale, un’altra lingua interamente diversa. Se l’arabo difatti fa parte del ceppo afro-asiatico, il persiano è una lingua indoeuropea. Si guarda con nostalgia allo Scià di Persia, pensando che quello dello Scià sia stato il “lungo periodo” della storia dell’Iran. La dinastia degli Scià ha preso il controllo dell’Iran solo dopo la Prima guerra mondiale, con Reza Khan, il capostipite della dinastia, che era poi un ufficiale dell’esercito, di padre persiano e madre georgiana. La Majilis (il Parlamento iraniano), nel 1925, depose l’ultimo membro della dinastia Qajar, nominando Reza Khan quale Scià. Più recentemente Trump ha affermato di non volere un cambio di regime in Iran, osservando, a proposito degli iraniani: «Sono ottimi commercianti e diventeranno una grande nazione commerciale. E hanno molto petrolio, Se la caveranno bene. Dovrebbero essere in grado di ricostruire e fare un buon lavoro».

Questa è una semplificazione, anche se l’affermazione di Trump può essere considerata veritiera, essendo l’Iran nell’esatto crocevia delle rotte commerciali, come l’antica Via della Seta, che cagionò nei secoli un ricco sviluppo di attività mercantili e artigianali. L’Iran, tuttavia, non è solamente il Bazar di Teheran. Dietro l’immagine di un Paese dominato dall’Islam sciita, l’antica Persia cela una realtà molto più articolata e speciale di popoli, tradizioni e religioni diverse.

Sull’ignoranza dei politici, in particolare di quelli americani, della loro miserrima cultura, è nota una battuta di Gore Vidal sul presidente Ronald Reagan: «Per me è un dato di fatto che il signor Reagan non ha un’idea chiara di quale differenza corre tra la famiglia Medici e la Casa Gucci. Però sa con esattezza che Nancy indossa qualcosa di una delle due». L’ignoranza non è solo la medaglia dell’élite del nostro tempo. Essa aveva celebri esempi nell’Ottocento, come Re Vittorio Emanuele II. Il “nemico” non era da meno: il feldmaresciallo austriaco e conte boemo Josef Radetzky, per esempio, in una lettera del 6 agosto 1854, scrivendo a Verona alla figlia sulla situazione sempre ostile nel Lombardo-Veneto, osservò: «La spada di Demostene pende sempre sul nostro capo».

ZAR DI IERI E DI OGGI
A parte gli strafalcioni, la storia è spesso utilizzata in maniera strumentale. Putin lo fa sistematicamente durante la guerra contro l’Ucraina. Il leader russo nega che parte dell’odierna Ucraina, la Galizia, con meravigliose città come Leopoli, divisa oggi tra polacchi e ucraini, sia stata un tempo il Regno di Galizia e Lodomeria, parte dell’Impero asburgico. Sulla Crimea poi, noi italiani potremmo vantare ataviche glorie veneziane, genovesi, napoletane e piemontesi.

L’uso strumentale della storia è specialità russa dai tempi di Pietro il Grande, che apprestandosi a entrare in guerra contro l’Impero Ottomano nel 1711, lanciò un appello alle popolazioni dei Balcani esortandole a sollevarsi contro i loro dominatori e a battersi a fianco dei russi, in modo che «i discendenti del pagano Maometto siano ricacciati nella loro antica Patria, tra le sabbie e le steppe d’Arabia».

Non era facile accumulare un maggior numero di inesattezze storiche in così poche parole. Lo zar rimaneva vittima di una grande confusione tra arabi, ebrei, e un popolo diversissimo per lingua e origine: i turchi, provenienti dalle steppe fredde dell’attuale Mongolia e approdati nelle regioni del Vicino Oriente dopo lunghe migrazioni secolari, tanto che si stabilirono nell’attuale Turchia solo alla fine dell’XI secolo.

La loro lingua, poi, appartiene al gruppo detto «altaico», comprendente anche il mongolo e il tunguso; inoltre, a differenza degli arabi, i turchi ebbero ben poco a che fare con le origini dell’Islam e, tuttavia, pur non discendendo da Maometto, i turchi avevano finito per dominare il mondo musulmano, in particolare con la dinastia ottomana, il cui impero arrivò a inglobare il nucleo storico e spirituale di questo mondo, ossia il Medio Oriente e l’Arabia, a partire da modeste appropriazioni territoriali ai confini occidentali dell’Islam, in Anatolia e nei Balcani, che chiamavano paese di ar-Rum, in quanto territorio degli antichi romani. In aggiunta, la confusione (voluta?) dello zar e dei suoi consiglieri aveva l’indubbio merito retorico di corrispondere perfettamente all’idea che ci si poteva fare, all’inizio del Settecento, della presenza dei turchi nell’Est europeo e, nello stesso tempo, del dominio dell’Islam su parte di un continente ritenuto come un cuore pulsante del mondo cristiano, per lo zar quello ortodosso.

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