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Beatrice Venezi, quante balle da chi elabora il suo curriculum

Nel 2011 Matheuz venne nominato direttore della Fenice a 27 anni. Ma la sinistra protesta contro Beatrice, 34 anni e una carriera più ricca: la trattano da criminale per partito preso
di Enrico Stinchellimartedì 30 settembre 2025
Beatrice Venezi, quante balle da chi elabora il suo curriculum

(Ansa)

2' di lettura

Mai, nella mia lunga esperienza di cronista e di uomo di teatro, avevo visto una gogna mediatica tanto grottesca come quella scatenata contro Beatrice Venezi. Altro che dibattito culturale: sembra il bombardamento al napalm, con giornali, sindacati e opinionisti pronti a scaricare su di lei tutto l'arsenale. Colpevole di cosa? Di essere stata nominata direttore musicale della Fenice a 34 anni. Una tragedia nazionale, manco avevano nominato Pikachu capo della Banca d'Italia. La musica, improvvisamente, non conta più nulla: non contano gli anni di studio, le orchestre dirette, le esperienze maturate nei principali teatri italiani. No, ciò che conta è demolirla a colpi di slogan: «raccomandata», «incapace», «presuntuosa». L'aria che si respira è quella della piazza forcaiola, con tanto di torce e picche pronte per infilzare la testa della malcapitata. Eppure la memoria, si sa, è selettiva.

Nel 2011, il venezuelano Diego Matheuz venne nominato direttore principale della Fenice a soli 27 anni. Curriculum ancora in fasce, esperienza internazionale pressoché inesistente, una manciata di concerti alle spalle e la benedizione del Sistema Abreu. Eppure nessuno gridò allo scandalo, nessun coro sindacale minacciò scioperi, nessun editoriale parlò di «offesa alla musica». Anzi, Matheuz fu salutato come un enfant prodige. Oggi, invece, la Venezi — più grande, con una carriera ben più ricca — viene trattata come una criminale beccata con le mani nel sacco. La logica è chiarissima: non è questione di titoli, ma di simpatie e partiti presi.

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Del resto, la storia della musica è popolata di casi ben più controversi. Karajan aveva la tessera del partito nazista: nessuno pensava di cancellarlo. Furtwängler dirigeva sotto Hitler e nel dopoguerra fu invitato dalla Rai e dalla Scala come se nulla fosse. Più vicino a noi, Valery Gergiev, colpevole di essere amico di Putin, è stato espulso da ogni teatro europeo nel giro di due settimane. Oggi tocca alla Venezi: il processo sommario, la condanna senza appello, l'esecuzione pubblica. È una tendenza pericolosa: l'arte ridotta a tribunale, la cultura trasformata in un'arena ideologica. Non si ascolta più un'orchestra, si ascolta il rumore della piazza digitale. Non si valuta un direttore, si misura quanto divide su Twitter.

Il rischio? Che la musica italiana diventi una caricatura di se stessa: più attenta a distribuire patenti di purezza che a difendere il talento. E che tra dieci anni, ripensando a questo linciaggio, ci venga da ridere. Perché sì, la musica resta. Le campagne d'odio invece evaporano, come i coriandoli dopo il carnevale. E allora questa furia iconoclasta contro una giovane direttrice d'orchestra apparirà per quello che è: un gigantesco calderone di provincialismo e invidia.

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