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Mezzo Pdl contro Alfano: "Non sa gestire il partito"

Giulio Bucchi
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  Angelino Alfano fa la voce grossa: parla di trasparenza, di nuovo corso del Pdl, di veto ai furbetti in stile Fiorito. Tutto giusto, tutto condiviso dal partito. A parte un punto: non dovrebbe essere lui a gudare il "Rinascimento azzurro". Non per questioni morali, ma perché lo sfacelo del partito nel Lazio è anche colpa sua e della sua incerta gestione. Martedì si è svolto il vertice tra il segretario Pdl, i coordinatori regionali e i loro vice in via dell'Umiltà, alla presenza dei capigruppo alla Camera e al Senato. Alfano ha dettato le nuove regole all'insegna dell'austerity e della trasparenza. "Da oggi i nostri gruppi avranno i conti certificati da società esterne", ha annunciato sulla scia di quanto appena detto da Berlusconi ("Abrogare il finanziamento pubblico dei partiti"). Poi ha posto in cima alle priorità la spending review dei costi delle Regioni, che i consiglieri devono impegnarsi ad attuare sia dalla maggioranza sia dall'opposizione. E ha annunciato che proporrà "un'assemblea straordinaria di 'rinascimento azzurro' con poteri esecutivi per decidere i criteri di selezione dei candidati, le sanzioni nei confronti di chi non rispetta le regole, norme per evitare nuovi casi Fiorito". Benissimo. Ma la riunione di partito si è presto trasformata in un processo ad "Angelino", accusato dai dirigenti del Pdl non essere riuscito a realizzare quel "partito degli onesti" che aveva promesso. "Alfano ha peccato di coraggio", lo accusa off the record uno dei coordinatori presenti alla riunione. "L'1 luglio, quando Berlusconi ha messo il partito in mano al suo braccio destro perché facesse la clava, lui non ha saputo dire 'adesso comando io'. E ora si vedono i risultati".  

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