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Luca Parnasi: "Il governo lo sto a fare io". L'accusa: "Quali politici vedeva, a chi dava i soldi"

Giulio Bucchi
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Una storia molto romana, molto italiana. Luca Parnasi, l'imprenditore edile al centro dell'inchiesta per le mazzette sullo stadio della Roma, vantava con i suoi collaboratori una vicinanza totale con il M5s e la Lega, ma anche con il Pd. I primi li chiamava addirittura "sodali", compagni d'affari. Dava soldi più o meno a tutto l'arco costituzionale, con l'intenzione di agevolare appalti e investimenti a Roma come a Milano (voleva mettere le mani sull'affare poi saltato dello stadio del Milan). E il suo "facilitatore" nella Capitale era Luca Lanzalone, uomo di fiducia dei 5 Stelle e presidente Acea dimissionario dopo essere finito in manette. Una serie di rapporti molto stretti e politicamente imbarazzanti per chi, ora, è tirato in ballo senza responsabilità penali dalle carte degli inquirenti.  Leggi anche: "È stato Bonafede a portare Lanzalone dalla Raggi" Negli ultimi mesi Parnasi era in fibrillazione, perché sentiva che con i 5 Stelle al potere avrebbe potuto fare il botto. A un amico ammetteva: "C'è un rischio altissimo che questi facciano il governo, magari con Salvini insieme... e quindi noi potremmo pure avere... incrociamo le dita, silenziosamente, senza sbandierarlo, un grande rapporto". Non mancano pranzi e cene con esponenti di spicco, subito dopo le elezioni: in un caso al tavolo, insieme a Parnasi e a Lanzalone, c'è Giancarlo Giorgetti della Lega. Impossibile sapere cosa si siano detti, possibile ipotizzare che Lanzalone abbia cercato sponde per un'eventuale promozione, visto che all'orizzonte c'erano già le nomine delle partecipate statali. E il 15 marzo, al telefono con un commercialista, Parnasi la mette giù dura. Si parla di donazioni per le appena finite campagne elettorali: "È solo di essere precisissimi, che in questo momento io mi sono (poi sussurra a bassa voce parole incomprensibili)... Il governo lo sto a fare io, eh! Non so se ti è chiara questa situazione!".

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