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Alessandro Di Battista come Luigi Di Maio, Filippo Facci: retroscena, perché è finito anche lui

Davide Locano
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Luigi Di Maio sta ufficialmente esplodendo. Ieri il Fatto Quotidiano (il giornale più grillino che c'è) ha aperto la sua prima pagina col titolone «5Stelle, riesplode la guerra» e ha lasciato più dubbi che certezze su che cosa siano i 5Stelle, su che cosa sia riesploso e su che cosa sia una guerra. Troneggiava, sopra il titolo, un temibile «Di Maio contro tutti» (se stesso compreso, forse) anche se «tutti», alla fine, corrispondevano ai soliti Roberto Fico e Alessandro Di Battista, alias il presidente della Camera più un militante - Di Battista - che giovedì si è limitato a presentare un suo libro a Polignano a Mare, in Puglia. Ma questi due, a quanto pare, tramano, fomentano, avvelenano. È l' unica spiegazione che Di Maio sa darsi dopo essersi accorto che gli attivisti, nelle assemblee, se lo stanno mangiando vivo: e le carni del vicepremier sono piuttosto tenere, anche perché - oltre a non essere un leader vero bensì un ragazzotto nominato, made in Casaleggio - non si sta dimostrando in grado di reggere la pressione ora che le cose vanno male. Ha la sindrome dell' assedio, vede ovunque imboscate e conti da regolare. «Mi volete dare la colpa del risultato delle Europee? Va benissimo», dice un Di Maio complessato, a cui non va benissimo per niente, e che si sente solo e divorato dai militanti incazzati. Leggi anche: "Di Battista, vai a lavorare": massacrato dai fedelissimi di Di Maio «CHE GLI HO FATTO?» Di Battista? L' altra sera, a Polignano a Mare, stava semplicemente presentando un suo libro in tarda serata come ha fatto altre volte, ma un giornalista ha fatto qualche lancio d' agenzia poco significante (nessuna critica diretta a Di Maio, anzi, Di Battista ha parlato male delle ong) ma il suo vicepremier Di Maio, il mattino dopo, l' ha presa malissimo. Perché? Non è chiaro neanche a Di Battista («ma che gli ho fatto?») ma è chiarissimo che quel venerdì mattina Di Maio si stava trovando nel panico completo, travolto dalla furia degli attivisti del Movimento milanese e quindi ansioso di scaricare colpe e responsabilità. Anche perché le assemblee degli attivisti grillini dovreste vederle: quelle corali e caotiche della sinistra anni Settanta, in confronto, sono un modello di organizzazione tirolese peraltro in una metropoli - Milano - dove il Movimento non ha mai sfondato, e «quel Di Maio» stava un po' sulle palle prima e figurarsi adesso. Cioè dopo il disastro delle Europee. O dopo il disastro alle regionali d' Abruzzo. O dopo che Di Battista, qualsiasi cosa facesse, non andava bene: a Natale era tornato dal suo anno sabbatico e si era dato da fare proprio con Di Maio (i viaggi europei, la proposta di abolire la sede di Strasburgo, il disgraziato approccio coi gilet gialli) ma poi, ricorderete, era stato chiaramente accusato di fare seri danni mediatici al Movimento, tra l' altro non del tutto a torto: e si era ritirato di buon ordine, limitandosi a poche comparsate e a presentare appunto il suo libro. Ora, allo stesso modo, è accusato di diserzione e di essere «quello che va in giro e presentare libri». «La campagna elettorale me la sono fatta da solo» lamenta ora Di Maio che cerca di schivare le coltellate dei militanti in un clima da mega-assemblea condominiale per minorenni. Se l' è fatta da solo: appunto. SALTANO I NERVI E Roberto Fico? Che c' entra? È ancor meno chiaro, perché Di Maio non lo nomina mai . Tutti i giornali hanno scritto di polemiche di Di Maio contro Fico (con tanto di titoli) ma una frase precisa a riguardo non si trova. Di Maio probabilmente si riferiva a lui quando ha criticato uno sterile «clima di nostalgia» e quando ha detto ai militanti «torniamo, ma dove? Andiamo avanti». Non a caso, sul parlatoio, proprio sotto i microfoni, Di Maio aveva scritto «Continuare per cambiare», che peraltro ricorda molto il «Governare il cambiamento» scelto da Bettino Craxi nel 1983. È questa la polemica? In realtà sono pregressi che esplodono. Nervi che non reggono. Roberto Fico, dicevamo, sarebbe accusato di eccesso di purezza. «Non ho mai visto una forza politica che più si chiude tra i puri e più va avanti», dice ora Di Maio. Eh sì, perché Roberto Fico, agli occhi di Di Maio, è «la sinistra», quella chiusa, quella che non si sporca le mani. IL VANTAGGIO Fico, su Di Maio, in effetti ha un vantaggio incolmabile: pare che in vita sua abbia lavorato, anche se un po' così, da tour operator, centralinista di call center, importatore di tessuti dal Marocco. Oggi è ancora lì che parla di «tagliare i costi della politica» e si fa fotografare in autobus. Ma, a ben vedere, Fico non dice e non fa (quasi) mai nulla di significativo, a parte atteggiarsi a sfinge moralista. Fa niente: sarà che è di Napoli pure lui, sta di fatto che, assieme a Di Battista, popola gli incubi di un Luigi Di Maio che secondo Il Fatto Quotidiano «riapre il conflitto». Cioè la guerra. Ma forse non è chiaro i grillini non sanno fare neanche quella. C' è solo una classe scolastica caotica che fa casino prima che in aula rientri il professore. Solo che il professore non c' è. Non arriva. Forse non c' è mai stato. C' è solo un piccolo supplente che non ce la fa più. Di Battista e Fico non sono nulla. Di Maio, perciò, sa che entrambi potrebbero sostituirlo facilmente. di Filippo Facci

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