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Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti, la trattativa che resuscita i vecchi ministri: tra loro Orlando e Padoan

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Caterina Spinelli
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La trattativa tra Pd e M5s prosegue a singhiozzo. Si ferma di notte a Palazzo Chigi, riparte nel pomeriggio. Ma gli aspiranti alleati sono ancora lontani dal trovare una quadra. Soprattutto sulla squadra di governo. Perché i dem accusano Luigi Di Maio e la sua bulimia di poltrone. Il capo politico grillino vuole il ministero dell' Interno e anche la carica di vice premier. Entrambe per sé. Troppo, dicono i democratici. Chiedono discontinuità: d' accordo la conferma di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Ma il numero due non può essere grillino, ma espressione del Pd. Anche per il Viminale, Nicola Zingaretti preferisce guida non politica. Come successore di Matteo Salvini, meglio il capo della polizia Franco Gabrielli. A fine giornata la trattativa non è ancora conclusa. Di Maio è ancora in ballo come vice premier insieme ad Andrea Orlando (Pd). Per il ruolo di sottosegretario alla Presidenza, finora assolto dal leghista Giancarlo Giorgetti, c' è in pole Dario Franceschini, uno dei pontieri della prima ora. Agli Esteri sono in ballottaggio l' uscente Enzo Moavero Milanesi e Paolo Gentiloni, con il primo che, in caso di esclusione, potrebbe essere promosso Commissario europeo. Per l' Interno, oltre a quello di Gabrielli, gira anche il nome di Marco Minniti (Pd). Alla Giustizia è probabile la nomina di Pietro Grasso (LeU); alla Difesa la ministra uscente Elisabetta Trenta potrebbe cedere il posto a un piddino: Ettore Rosato o Emanuele Fiano. Per il ministero dell' Economia, carica molto delicata, conterà anche l' opinione di Sergio Mattarella. Si profila allora una soluzione tecnica: il ripescaggio di Pier Carlo Padoan (sarebbe clamoroso) o una guida tecnica (Enrico Giovannini). In subordine Zingaretti propone due suoi uomini: Antonio Misiani e Roberto Gualtieri. Allo Sviluppo economico potrebbe sedere la fedelissima Paola De Micheli. Al Lavoro Tommaso Nannicini o Teresa Bellanova, entrambi dem. Mentre Matteo Renzi spinge il "neorottamatore" Tommaso Cerno, uno tra i primi ad immaginare un' intesa tra dem e grillini, alla Cultura o all' Ambiente. Sembra scontato anche l' addio di Danilo Toninelli. Al suo posto al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti potrebbe andare un altro grillino (Stefano Patuanelli) o un democratico (Graziano Delrio o Roberto Morassut). Per l' Istruzione gira voce di una candidatura tecnica (Roberto Cingolani), mentre al ministero della Salute potrebbe essere confermata la pentastellata Giulia Grillo. Conferme anche per Riccardo Fraccaro (Rapporti con il Parlamento), Alfonso Bonafede (ma in un altro dicastero) e Vincenzo Spadafora che potrebbe essere promosso alle Pari Opportunità. La terza opzione presa in considerazione nel corso della trattativa è quella di abolire la carica di vice premier per evitare tensioni. D' altronde il Giggino "pigliatutto" crea malumori anche all' interno del Movimento. «Riproporre Di Maio come vice premier, anzi imporlo come seconda condizione obbligata dopo il Conte 2.0 come premier, significa riproporre esattamente lo stesso schema fallimentare del governo giallo-verde», scrive su Facebook la senatrice Paola Nugnes. «Significa imporre nuove spese, ricreare squilibrio e togliere nuovamente al presidente del Consiglio forza e autorevolezza». E in serata una fonde del Pd ha rivelato che l' insistenza di Di Maio per avere la vice presidenza ha rimesso a rischio l' accordo finale. di Salvatore Dama

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