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Giuseppe Conte parla in conferenza e gli italiani lo coprono di insulti: nessuno si fida più del premier

Gianluca Veneziani
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La Storia è con Noi», disse l'umilissimo Giuseppi Conte, autoinvestendosi del ruolo di uomo della Provvidenza. Peccato che gli italiani abbiano smesso di essere con lui. Chi per ragioni di equilibrio mentale, chi per motivi economici e lavorativi, chi per rivendicazione delle proprie libertà, non sopportano più l'idea di essere reclusi in quarantena. E hanno accolto con molta insofferenza il proclama lanciato ieri mattina da Conte in un post su Facebook, che annunciava la riapertura «a partire dal prossimo 4 maggio», ma in un modo che più vago e inconcludente non si può.

Il premier, dopo gli scivoloni delle ultime sue esibizioni tv - vedi l'attacco a Salvini e Meloni in una conferenza stampa istituzionale -, ieri pensava di risparmiarsi critiche, affidando il suo discorso a un testo scritto da pubblicare sui social. Il senso del suo intervento era tenere a bada gli italiani, dando loro il contentino di una promessa: cioè l'avvio della mirabile "fase due". E così, dopo aver comunicato che «sarebbe irresponsabile riaprire tutto subito» e che «non possiamo affidarci a decisioni estemporanee pur di assecondare una parte dell'opinione pubblica, o di soddisfare le richieste di alcune categorie produttive, di singole aziende o di specifiche Regioni», il premier temporeggiava, cimentandosi in un esercizio a metà tra l'autocelebrazione, la retorica e il vaniloquio.

Lodava gli sforzi incredibili fatti dal suo governo per fronteggiare l' emergenza, affermando: «Pensate: ad oggi abbiamo fornito alle Regioni 110 milioni di mascherine e circa 3mila ventilatori per le terapie». Roba da restare estasiati. E poi assicurava che prenderà in pugno lui la situazione con mano ferma: «Assumeremo le decisioni che spettano alla Politica come abbiamo sempre fatto: con coraggio, lucidità, determinazione». Anche con molta umiltà, a quanto pare. Quindi si dilungava in frasi fatte e futili, all'insegna del «restiamo uniti» e del «ce la faremo»: «Dobbiamo marciare uniti e mantenere alto lo spirito di comunità. È questa la nostra forza. E smettiamola di essere severi con il nostro Paese», proclamava. Infine, quando doveva venire alla sostanza, cioè spiegare il modo in cui verrà avviata la ripartenza, si perdeva nella fumosità di verbi al futuro e mere buone intenzioni.

 

 

«Nei prossimi giorni analizzeremo a fondo questo piano di riapertura e ne approfondiremo tutti i dettagli»; «i buoni propositi vanno tradotti nella realtà, tenendo conto di tutte le nostre potenzialità, ma anche dei limiti attuali»; «dobbiamo agire sulla base di un programma nazionale, che tenga però conto delle peculiarità territoriali». Fino all'apoteosi, allorché si poneva domande cui lui stesso non sapeva rispondere: «Come possiamo garantire all' interno dei mezzi di trasporto la distanza sociale? Come possiamo evitare che si creino sovraffollamenti, le famose "ore di punta"? Come favorire il ricorso a modalità di trasporto alternative e decongestionanti?». E non lo so, Conte, diccelo tu.

«BASTA ARRESTI DOMICILIARI»
Di fronte a questo Nulla travestito da Fuffa gli italiani non sono rimasti indifferenti ma hanno commentato in massa, manifestando le loro rabbia, indignazione e intolleranza, e dimostrando come la scelta di rifugiarsi sui social stavolta non sia stata un grande affare per il premier. Scorrendo i commenti, circa 40mila, notavi che per un buon 70-80% avevano un tono negativo nei confronti di Conte. Altro che popolarità in crescita dovuta alla gestione dell' emergenza. Molti italiani si lamentavano per la privazione delle libertà fondamentali, per gli «arresti domiciliari» ormai insostenibili. Adriano avvertiva: «Attenti perché la pazienza è terminata; dal 4 maggio io mi riapproprierò della mia libertà, e come me la buona parte degli italiani». Tommaso aggiungeva: «Presidente! Basta arresti domiciliari. Sarebbero ingiustificati e anticostituzionali! Il rischio è che il governo violi l'articolo 13 della Costituzione», quello cioè che stabilisce l'inviolabilità della libertà personale. C'era poi chi si lamentava per il ricorso a misure di controllo sociale degne del Grande Fratello, come Manuela che tuonava: «No all'app Immuni né tantomeno al braccialetto identificativo! State esagerando!», seguita a ruota da Ke la quale, oltre che sorvegliata, si sentiva trattata da scema: «Non potete continuare a trattarci da stupidi», avvertiva. «Il popolo italiano ha diritto di essere considerato un popolo in grado di applicare delle semplici regole di base senza essere rinchiuso e controllato con app o braccialetti».

«CI MANDATE IN ROVINA»
Si associava Gilda che evocava il pericolo di una dittatura sanitaria, avvertendo: «Adesso basta, questa sta diventando una dittatura, non un'emergenza sanitaria. Lei ci sta obbligando a non farci uscire, a non vedere i nostri famigliari magari malati e soli; i bambini non vedono la luce del sole da giorni e giorni: tutto questo non è costituzionale». Ma le maggiori critiche riguardavano l'aspetto economico, l'impossibilità di lavorare, il tracollo delle imprese, il rischio di morire di fame e il mancato sostegno da parte del governo con misure consistenti e tempestive. «Presidente, tra poco saremo costretti tutti a venire da voi politici a mangiare! Siamo al collasso! Chiuderanno molte imprese se non fate qualcosa al più presto. Le banche non ci stanno dando nulla», scriveva in modo crudo Roberto. «Complimenti, ci sta accompagnando verso la morte economica. Lei pensa che la gente non abbia bisogno di soldi, dopo 50 giorni parla ancora di chiacchiere!», rincarava la dose Alberto.

«Presidente, ora basta. Restare a casa non si può più. Non moriremo di Covid-19 ma di fame», sintetizzava efficacemente Clara. Molti poi andavano sul concreto: «Pagate la cassa integrazione. Sbrigatevi, la gente ha bisogno dei soldi. Basta parole!», richiedeva a gran voce Antonello; «niente malattia percepita nel mese di marzo; per altri colleghi niente cassa integrazione percepita nel mese di marzo. Il suo stipendio invece è arrivato?», chiedeva al premier in modo provocatorio Aimer. «Grazie perché stai aiutando le partite Iva... (umorismo)», chiosava in modo sarcastico Paolo. Al pari di Michele che scherzava amaramente: «Io sono rimasto ustionato dalla "Potenza di fuoco" che è stata messa in campo per il settore produttivo». Aveva invece poca voglia di ironizzare Fabrizio che diceva secco «Ci state mandando alla rovina e basta», come Teresa che faceva un appello disperato: «Noi piccoli imprenditori siamo abbandonati. Nulla ci è stato dato. Ci serve un aiuto forte per noi e i nostri collaboratori, altrimenti coleremo a picco». Lucidissima poi la riflessione di Jonathan: «Scusi, signor presidente, ma abbiamo distrutto l' economia del paese per poi comunque convivere con il virus? A questo punto potevamo conviverci senza fermare tutto».

«E I NOSTRI FIGLI?»
Alla schiera degli arrabbiati si aggiungevano quelli preoccupati per la propria salute mentale e quella dei propri figli. Trovavi Deborah che avvertiva: «Che bello. Non morirò di coronavirus ma sicuramente di depressione»; o Alessandro che faceva notare: «Dal 4 maggio o si esce di casa o si esce. Le conseguenze per mio figlio altrimenti saranno peggiori del rischio sanitario. Non avete minimamente preso in considerazione gli effetti di questa quarantena sullo sviluppo psichico evolutivo dei minori». E quindi Lucia che rilevava: «Prima di tutto la salute sì, inclusa quella mentale!».

Molti rilievi riguardavano anche il fatto di aver temporeggiato a lungo, senza aver sviluppato un piano decente per ripartire. Se ne faceva portavoce Giovanni chiedendosi: «Sono 2 mesi che dovete ragionare! È possibile che ancora non siete arrivati a una possibile soluzione?». A mo' di sfottò, infieriva Michele: «Io aspetterei ancora un po' presidente! Ci piace l'effetto sorpresa, in fin dei conti ci son stati solamente due mesi di tempo per pianificare la riapertura». Gli faceva eco Beniamino, interrogandosi sugli sprechi legati alle troppe task force: «Avete inserito 300 esperti per questa task force solo per gonfiare le tasche di qualcuno. Le gente è disperata e ve ne accorgerete in questi giorni. Governo di incapaci!». Così come Domenico che si domandava: «Signor Conte, ma tutti questi esperti e tutte queste task force quanto ci costano? E poi, se servono tutte queste persone, voi che ci fate?». Stesso interrogativo di Enzo: «Sono 60 giorni che lavorate a qualcosa che non esiste! Vi rivolgete ad esperti, pagandoli con soldi pubblici perché non siete in grado di fare il lavoro per cui vi pagano profumatamente e vi ricordo che non siete stati eletti dal popolo».

«TAGLIATEVI LO STIPENDIO» 
Tutti sovranisti prevenuti? Macché, tra i contestatori c'era anche chi proponeva a Conte e alla sua squadra soluzioni tipicamente grilline come il taglio delle paghe. «Riducetevi lo stipendio e arruolate meno esperti che esperti non sono», suggeriva Rosa. Emulata da Marina che rilanciava: «Date un segno concreto. Dimezzatevi gli stipendi e metteteli a disposizione di tutti coloro che hanno dovuto chiudere». Mentre Patrizia, a sua volta, notava: «Presidente, prima di chiudere il paese, noi italiani abbiamo fatto dei sacrifici. Perché non li fate anche voi diminuendo gli stipendi e le pensioni d' oro?».

Tre ultime chicche possono aiutarci a comprendere lo stato d'animo di molti italiani nei confronti del presunto uomo della Provvidenza. Se Teresa, per il disinteresse del governo verso le imprese, ammoniva il premier dicendo «Purtroppo lei sarà ricordato come Schettino», Claudia lo sbeffeggiava per il suo lungo discorso con un'altra metafora nautica: «Grande poeta, che bella sviolinata, come l'orchestrina sul Titanic mentre stava affondando. Sono commossa». Laddove Rossella lo invitava a non dare fiato più alla sua bocca e moto alla sua penna: «Fossi in lei mi vergognerei anche a scrivere una sola parola». Che lo prenda come suggerimento, presidente, per il suo prossimo discorso alla nazione. Meglio una scena muta. Si fidi, farà più bella figura.

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