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Tommaso Cerno contro Giuseppe Conte: "Un becchino, siamo alla dittatura sanitaria. Perché è giusto ribellarsi"

Gianluca Veneziani
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 Ieri alla buvette di Montecitorio ha messo provocatoriamente la mascherina alla statua di Garibaldi come gesto di protesta. Tommaso Cerno, giornalista e senatore del Gruppo Misto, è convinto che il governo non stia solo imbavagliando la nostra libertà ma ci stia anche togliendo il respiro.

Cerno, crede che l'allarme sul Covid sia stato ingigantito, come ha detto l'infettivologo Bassetti a «Libero»?
«Mi sembra evidente che il governo, anziché muoversi con razionalità, stia agendo sulla base della paura, utilizzando i dati sanitari per fare cose che già durante la prima ondata non hanno migliorato la situazione. Così ha ampliato il secondo gruppo dei colpiti dalla pandemia: e cioè, oltre alle persone ammalate, quelle sane a cui tocca un destino di morte economica. Conte è passato da avvocato degli italiani a medico degli italiani. E ora è diventato il becchino degli italiani. I quali tuttavia sono stufi. Il Paese in questi mesi di pandemia è diventato molto più maturo e preparato di chi lo governa. E proprio per questo non si fida più di Conte».

Dietro le misure restrittive si nasconde, secondo lei, il rischio di una dittatura terapeutico-sanitaria?
«Siamo già in una dittatura sanitaria, guidata però da gente che ha paura. E chi ha paura non può governare. Penso a Conte, succube del Comitato tecnico-scientifico, e a Speranza, che da un lato fa propaganda della paura, e dall'altro ha terrore lui stesso: più che il ministero della Salute, il suo è il ministero dell'Ipocondria. Poi ci sono i medici e l'informazione. Il nostro Paese è stato trasformato in un'Italia Medicina 33, in cui tanti piccoli emuli senza talento di Luciano Onder fanno a gara in tv a chi la spara più grossa. Più che medici sono stregoni».

Si parla intanto dell'ipotesi di un secondo lockdown totale. Sarebbe la fine per il Paese?
«Mi sembra il miglior modo per seppellire l'Italia, anzi per farla morire due volte. Da un lato non si fermerebbero i contagi, dall'altro si estenderebbe la pandemia economica. Molti italiani rimasti senza lavoro sono già stati "infettati" dal governo. Sono gli esodati del Covid».

Quali soluzioni propone?
«Ci vorrebbero due cose per ripartire. Regole comuni a livello europeo, su come gestire aerei, trasporti su strada, servizi primari, mobilità nell'area Schengen. E poi consenso informato per i cittadini: non può essere l'autorità a privarti della libertà, ma sei tu che scegli di continuare a vivere e lavorare, sottoscrivendo un documento con cui ti impegni a prendere tutte le precauzioni ma ti assumi anche tutti i rischi».

Guardando indietro, cosa si sarebbe dovuto fare in Italia?
«Avremmo dovuto investire tutti i soldi nella politica sanitaria, creando in ogni regione dei poli Covid. Invece il governo si è ostinato a dare elemosine a ristoratori e imprenditori, che dal loro canto avrebbero voluto soltanto continuare a lavorare. Non saranno le briciole del governo a salvarli dal fallimento».

Gli esercenti sono molto arrabbiati. Avranno la forza di ribellarsi davvero?
«Rispetto alle Sardine che non mi davano alcuna emozione, le persone che ora scendono in piazza mi dimostrano che l'Italia è ancora viva. Sono arrabbiate perché sono molto meno tutelate di chi lavora nel pubblico impiego: questi ultimi spesso vengono messi in smart working a non fare nulla. Esercenti e imprenditori fanno quindi bene a ribellarsi. In questo momento l'atto più rivoluzionario in Italia è scendere in piazza e camminare liberi».

Molte regioni cambiano colore, ma il Lazio resta giallo. Come mai?
«Se diventa rosso il Lazio, cioè la regione amministrata dal governatore Zingaretti nonché segretario del Pd, e diventa rossa la capitale dove ha sede il governo, cade tutto il palco: è la fine sia di Zingaretti che di tutto l'esecutivo».

Biden potrà davvero fare da argine contro la pandemia, come credono molti a sinistra?
«Biden, più che il sogno americano, rappresenta il dormiveglia americano. È un pensionato che il mondo se lo è già vissuto ampiamente. Come può un uomo così salvare il mondo?».

Chiudiamo con l'arrivo del vaccino. È giusto essere cautamente pessimisti sulla sua distribuzione per tutti in tempi rapidi?
«La verità è che, a livello comunicativo, il vaccino è un ottimo diversivo, un sedativo buono a tranquillizzarci e a farci accettare misure governative non più sostenibili. Io trovo strana questa corsa rapida al vaccino, mentre non si sente ancora parlare di farmaci efficaci, di terapie, che dovrebbero essere prioritarie per salvare la vita ai malati. E poi non vorrei che, con l'introduzione di un numero molto limitato di dosi, si scateni la guerra tra chi il vaccino ce l'ha e chi non ce l'ha, e quindi tra chi vive e chi muore. Sarebbe l'ennesima ingiustizia di questa pandemia». 

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