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Mario Draghi, dopo il Mattarella bis la crisi? "Il grande timore del premier", improvviso cambio di scenario

Sandro Iacometti
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C'è qualcosa che non torna nella narrazione di questi giorni, che racconta di un Mario Draghi rafforzato dalla partita sul Quirinale e determinato a raggiungere ad ogni costo gli obiettivi, lasciando che i partiti, in stato confusionale dopo i pasticci che hanno portato alla rielezione di Mattarella, cuociano nel loro brodo. Certo, dopo la figuraccia sul Colle e le conseguenti spaccature interne, le forze politiche di maggioranza hanno bisogno di affiancare all'attività di governo quella di lotta, per recuperare un po' della linfa perduta. Ma siamo proprio sicuri chele bollette e il superbonus siano solo dei capricci, dei pretesti per sbattere un po' di pugni sul tavolo del Consiglio dei ministri ed avere un po' di visibilità sui giornali? Ieri Confindustria ci ha detto che per colpa del caro-energia la produzione a gennaio ha subito una battuta d'arresto dell'1,3%. Sempre ieri Confartigianato ci ha spiegato che la stretta decisa dal governo sulla cessione dei crediti d'imposta delle ristrutturazioni costerà 130mila posti di lavoro e metterà a rischio la ripresa, considerato che l'edilizia lo scorso anno ha dato una spinta di quasi il 25% alla crescita del Pil. Insomma, è difficile non vedere i problemi reali dietro la propaganda politica. Ed è difficile pure, di fronte a questi numeri, liquidare l'ostinazione di Draghi come una semplice prova di forza con i partiti. Considerato che praticamente tutta la maggioranza chiede interventi sull'uno e sull'altro fronte, l'impuntatura del premier può portare solo a due sbocchi: governare per il prossimo anno a colpi di fiducia oppure lasciare che sia il Parlamento ad assumersi la responsabilità di misure non in linea con i piani dell'ex capo della Bce. Entrambe le strade lasciano intravedere la verità, che è quella che un po' ci ha raccontato ieri Enrico Giovannini. Incalzato sulla questione dello scostamento di bilancio per calmierare le bollette, il ministro delle Infrastrutture ha ammesso che «il Pnrr ha una componente fortissima di debito, non sono soltanto trasferimenti a fondo perduto, e l'Italia ha un problema molto rilevante di debito, che, come vediamo in questi giorni, le tensioni internazionali stanno cominciando a mettere sotto la lente come in passato».

 

 

 



LO SCUDO NON FUNZIONA - Ma come, abbiamo lo scudo di Super Mario e temiamo di nuovo lo spread? I fan dell'ex banchiere ci diranno subito che senza di lui ora saremmo come nel 2011. Ma allora perché Giovannini si preoccupa e Draghi non vuol sganciare un centesimo in deficit né allentare le briglie su un super bonus che da sempre il mini stro Daniele Franco considera troppo costoso? La realtà è che le cose, come ha detto ieri pure Carlo Cottarelli, non stanno andando esattamente come dovevano. Non è colpa di Draghi, intendiamoci. Neanche gli economisti più esperti avevano previsto la crisi delle materie prime e l'inflazione. Persino la Bce si è dovuta rimangiare le sue promesse sui tassi. Sta di fatto che mentre il governo esulta, attribuendosene il merito, per il 6,5% di Pil raggiunto nel 2021, il quadro sembra in conti nuo peggioramento. Qualche giorno fa, dopo Ban kitalia ed Fmi, anche l'Ufficio parlamentare di bilancio ha abbassato le stime di crescita per il 2022 al 3,9% rispetto al 4,7% previsto dal governo. A gennaio, dopo i record dello scorso anno, l'indice Pmi composito (industria più servizi) e sceso a 50 punti, il confine tra l'espansione e la contrazione dell'economia.

 

 

 

 

E poi c'è lui, lo spread. Non fosse stato eletto Mattarella, ora ci sarebbe gente in strada con le mani nei capelli. La chiusura del differenziale tra Btp e Bund venerdì ha chiuso a 154 punti. Per trovare un livello simile bisogna tornare indietro al luglio 2020 in pieno marasma Conte II. Fino ad oggi abbiamo finto di credere che Draghi (un anno fa lo spread era sceso a 90) ci salverà da ogni male. Ma, come ha detto Giovannini, purtroppo non è così. Super Mario o no, quando i mercati si spaventano noi siamo il primo bersaglio su cui sparare, pieni di debito e refrattari alle riforme. Senza contare che tra qualche mese entrerà nel vivo anche la discussione sulla riforma del Patto di stabilità, e pure la Ue tornerà a colpire. Il problema è che di fronte a questo scenario Draghi sembra aver buttato nel cestino le sue teorie sul debito buono. Quello che forse ora ci servirebbe per evitare di invertire la rotta.

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