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Luigi Di Maio, chi sono i big corteggiati con il "benestare" di Mattarella

Luigi Di Maio

Francesco Specchia
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«Celo, celo, manca...». Anche Di Maio ha cambiato casacca. E, a cercarla, è nell'album delle figurine del fascinoso partito di Draghi (con o senza Draghi, non ha molta importanza) che s' annida la metafora del «grande centro moderato». I cui confini si dilatano come i tempi di gioco; rincorrono le veroniche, le linee di fondo e le aree di rigore; e s' estendono fino al crinale del "campo largo" lettiano.


L'"area Draghi" se non a un campo da calcio assomiglia ad campo da calcetto. Affollatissimo però. Dove Di Maio si presenta capitano di una squadra che bascula pericolosamente tra le sontuose campagne acquisti del Paris Saint Germain e l'improvvisazione del Borgorosso Football Club del film di Alberto Sordi. Certo, conforta il fatto che, di quest' immaginifica compagine, presidente sia lo stesso premier Draghi, sponsor benedicente il Capo dello Stato Mattarella e allenatore in campo un Silvio Berlusconi ancora una volta sfuggito al crudele destino da umarell davanti al cantiere della politica.


VIA LE ALI ESTREME
Tatticamente, la squadra dell'irresistibile forza centripeta taglierebbe oggi le ali estreme del Parlamento. Sicché, sommando Fi, Italia Viva, Coraggio Italia, Insieme per il Futuro (con l'immortale Tabacci a fornir simboli e ordire trame) e -massì- perfino il Pd, avrebbe una maggioranza di 346 deputati, 30 in più delle maggioranza minima, oltre ai 154 voti al Senato. Sicché, nel gioco del fantamercato parlamentare, ecco spiccare nel nostro Centro Football Club, dietro la porta saracinescata da Pierferdy Casini, una difesa presidiata dai gemelli diversi Toti e Brugnaro molto meno coordinati d'un tempo; e da Pizzarotti terzino sinistro per antica vicinanza municipale al Pd; mentre Calenda è lo stopper alla Collovati che, con eleganza, stoppa chiunque passi (anche i suoi) dal suo angolino di gioco.

 

 


Il centrocampo è presidiato da mediani di fatica alla Gelmini -sguardo basso e pedalare o da fantasisti napoletani alla Carfagna, virtuosa del palleggio che sembra non sudare mai. Ma lì pure vi spiccano geometri del lancio lungo - lunghissimo, anche oltre la propria area politica- in corsa, come Giorgetti; o come Emma Bonino rallentata sì dall'anagrafe e dagl'infortuni, ma ancora efficace nella visione tecnico tattica (direbbe il Fabio Capello) soprattutto in notturna, e nelle amate trasferte europee. In attacco, Renzi trotterella da bomber rapace, ai margini dell'area avversaria, spesso senza palla, spesso con la palla nascosta sotto la maglia. Tabacci, la mezzapunta affaticata, lo vede e s' incazza con flebile rampogna democristiana. D'altronde il toscano ha un concetto d'amalgama tutto suo. Matteo non fa spogliatoio - anzi l'incasina - , talora vuole bucare il pallone per capriccio, simula troppo, non passa mai; ma alla fine il gol decisivo sotto porta l'infila sempre.

 

 


L'ala destra Lupi non sa cosa fa l'ala sinistra Beppe Sala: tornante d'interdizione il primo e esperto di rabone e di sombreri il secondo, nulla hanno in comune, se non il fatto d'essere entrambi milanesi. Il Centro Football Club ha di bello che abbonda di riservisti dalla grande capacità polmonare e dal passaggio preciso, talora sottovalutati, alla Librandi o alla Rotondi. Per non dire di Zaia, sempre rispettoso nel contrasto e pettinato come un centromediano metodista degli anni 30; o di Bonacini e Fedriga, dribblatori esplosivi nei tiri da fermo. La squadra, volendo, si giova del contributo di Letta, all'occorrenza oriundo che, come Altafini negli anni 60, giocava sia nell'Italia che nel Brasile. Visto così, lo squadrone del centro va oltre l'ammucchiata e oltre l'ardore democristiano. Anche se il sospetto è che ci siano più giocatori in campo che spettatori sugli spalti...

 

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