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Carlo Calenda, il retroscena svela la farsa: "Ecco cosa vuole ottenere davvero"

Pietro Senaldi
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Simpatico non lo è neppure agli amici, visto che è troppo "diretto", come lui stesso si descrive; però, siccome nel mondo dei ciechi l'orbo è re, passa per essere competente, soprattutto a sinistra, dove è nato, cresciuto, è stato eletto e continua a orbitare, per quanto con aria schifata e a distanza più ostentata che reale. Stadi fatto che, a prescindere dai talenti personali, è venuta l'ora di Carlo Calenda, europarlamentare del Pd che ha lasciato il partito per crearne uno proprio, "Azione", comprensibilmente disgustato dalla scelta dei suoi vecchi compagni dem di andare al governo con Cinque Stelle. Il fondatore ha sempre giurato che si sarebbe presentato alle elezioni da solo.

L'obiettivo era vincere il collegio uninominale di Roma 1, dove garantiva che si sarebbe candidato e poi, grazie alla quota proporzionale del Rosatellum, portare in Parlamento un manipolo di eccellenze, prevalentemente della società civile, selezionate da lui in persona. Una ventata di cervelli freschi al servizio della Repubblica e del leader che tanto nuovo non è, girovagando da quasi trent' anni nel potere e sottopotere nazionale.

 

 

 



LA SVOLTA - L'arruolamento procedeva con qualche difficoltà, malgrado Azione fosse data stabilmente sopra il 4%, probabilmente anche perché, per le forze che si presentano da sole, non collegate ad altre liste, la soglia di sbarramento è fissata al 5%. La sorte però ha voluto che Draghi - proprio ieri Calenda, neanche fosse calato da Marte, lo ha candidato come premier putativo- si dimettesse la settimana scorsa e Mattarella indicesse elezioni anticipate per il 25 settembre. Il cambio di quadro politico ha stravolto completamente strategie, possibilità, ragionamenti, gusti e attrattività dell'ex ministro di Monti, il quale adesso si trova la fila alla porta di parlamentari forzisti da lustri ansiosi di entrare in Azione, anche perché alcuni sondaggi hanno fatto balzare il partito, che Calenda ha abilmente trasformato in quello di Draghi convitato di pietra, al 6%.

Ieri è stata la volta del ministro Gelmini, ma in precedenza aveva fatto il salto l'azzurro Cangini, molto vicino all'altra ministra berlusconiana, la Carfagna, che starebbe anch' ella considerando seriamente, tra le altre, l'opzione di concedersi a Calenda, il quale non aspetterebbe altro; anzi, sarebbe già in fase di stalking. Come peraltro è tentato il terzo vedovo azzurro dell'esecutivo Draghi, Brunetta, che ha lasciato Forza Italia dichiarando di avere patito le pene dell'inferno nel partito del Cavaliere, dove ogni due per tre gli facevano notare, con perfidia e umorismo da terza media, la sua bassa statura. Ora che si è portato più al centro, la sinistra che gli diede dell'"energumeno tascabile" già lo descrive come un fusto di un metro e novanta.

Si tratta di campioni in scadenza di contratto, con diverse ma comunque ridotte possibilità di vederselo rinnovare, perché la squadra di Forza Italia riduce i costi ed è orientata a trattenere solo chi è fedele alla maglia, porta acqua e fa gol, il che in politica significa non rompere le scatole, lavorare per il partito e il suo leader senza prendere sbandate per tecnici di ventura, e avere un pacchetto di voti da consegnare in dote.

 

 




L'ATTRAZIONE - Sono attratti da Calenda perché non saprebbero dove altro andare per aggiungere anni alla loro carriera in quanto detestano, ricambiati, Salvini e la Meloni, adorano Draghi ma l'ex premier non fa un partito- e neppure peraltro li chiamerebbe tutti -, non possono accasarsi nel Pd, perché lo affosserebbero, hanno conservato quel filo di dignità che gli impedisce di bussare a Di Maio e sanno che da Renzi sono finiti pure i posti in piedi. Finché si tratta della sorte degli ex azzurri, benché siamo stati molto affezionati a loro, poco importa. Quello da cui però bisogna stare in guardia è che qualche elettore di centrodestra non si metta in fila dietro il pifferaio Calenda come hanno fatto finora i topolini Gelmini, Cangini e Brunetta. Già, perché l'incantatore extralarge dei Parioli suona una melodia ingannevole per i moderati.

Sostiene che le tasse sono alte, vuol tagliare quelle sul lavoro, è a favore di un'immigrazione controllata, ha delle idee ragionevoli sulle politiche ambientali, punta sul nucleare e non si inchina ai gretini, non è un manettaro e si dice per la riforma della giustizia e contro lo strapotere dei burocrati. Attenzione però, Carlo è un finto liberale, e non solo per il modo in cui si rivolge agli interlocutori; chi dal centrodestra lo segue, finisce nel lago della sinistra. La sua funzione principale è raccattare ex voti berlusconiani, ai quali strizza l'occhio da anni, e portarli in dote a Letta e al Pd. E questo non dopo il voto - offrendosi a un governo a maggioranza dem che ha sempre negato ma che, con la scusa dell'agenda Draghi, lo avvicina già ora al segretario progressista- ma fin da subito. Sotto il Solleone ferragostano, con il Paese distratto e in vacanza, Calenda si accorderà con Letta sulle liste, distinto ma alleato.

E un indizio di questo lo ha dato ieri lo stesso leader, smentendo Renzi, il quale aveva già svelato l'esistenza di un'intesa tra Italia Viva e Azione. Conscio che i rapporti tra l'ex rottamatore ed "Enrico stai sereno" sono a zero, il Carletto nazionale si è precipitato a negare l'inciucio con l'agitato Matteo, che gli impedirebbe di intrallazzare con i dem. Brunetta in fondo è sempre stato un socialista, la Gelmini è una grande mestierante della politica in cerca di approdo e la Carfagna su temi etici è più vicina a Boldrini e Bonino che a Berlusconi, Meloni e Salvini. Per loro finire a sinistra non fa poi così differenza e quindi possono prestarsi a fare da specchio per le allodole per l'elettorato moderato. Per i cittadini però è diverso. Chi, da centrodestra, vota Calenda, rischia ancora una volta di mandare al governo il Pd con la propria scheda elettorale. Come già nei governi Letta, Renzi, Gentiloni, Conte e Draghi.

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