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Meloni, l'elogio che fa rosicare la sinistra: "Popolare e competente"

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Spartaco Pupo
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Mentre in Italia certi accademici asserviti alla sinistra non perdono occasione per sbraitare contro il governo, come Montanari, storico dell'arte che si spaccia per esperto di politica, o Cacciari, filosofo-tuttologo che oggi si scopre cultore persino di Dante, all'estero esistono ancora politologi, studiosi veri della politica, che parlano di governi, leader, partiti e istituzioni avendone tutti i titoli. E alcuni tra i più autorevoli hanno iniziato a occuparsi del nuovo governo italiano. È il caso di Erik Jones, direttore del Centro Robert Schuman e professore di studi europei alla School of Advanced International Studies della Johns Hopkins.

Nell'ultimo numero del Journal of Democracy, la prestigiosa rivista internazionale della Johns Hopkins, Jones ha pubblicato uno studio intitolato «Le dure verità dell'Italia», incentrato su quello che descrive come il governo «più di destra della storia italiana sin dal dopoguerra». Si tratta di un governo di una coalizione «familiare», nel senso che i tre partiti che la compongono sono gli stessi che hanno governato una volta negli anni '90 e due volte in questo secolo. Con l'unica differenza che quello più a destra, FdI, è oggi al comando, mentre Fi e Lega sono «cambiati per effetto dell'ingegneria socio-elettorale avviata nei primi anni '90 e che ha diviso gli italiani in sinistra e destra». Una divisione - osserva acutamente Jones - cui la «destra si è adattata, la sinistra no».

LA VIRTÙ DELLA COERENZA
Lo studioso riconosce a Meloni di essersi mantenuta sempre coerente nel centrodestra, al contrario di Fini, che sciolse An per confluire nel PdL per poi pentirsene e «scomparire in fretta dalla politica». E proprio dalla coerenza deriva l'"attrazione" degli italiani per l'attuale premier, che oltre ad essere stata «la principale voce di opposizione alla coalizione nazional-unitaria di Draghi, era anche l'unica voce che ha potuto celebrare la fine di quel governo senza essere accusata di averla causata». Da qui la sua «vittoria decisiva» che, oltre ad aver fatto compiere all'Italia «un salto in avanti nell'uguaglianza di genere», ha portato a un governo «ragionevole, accomodante e destinato a rimanere in carica più a lungo dei suoi predecessori».

Nell'analizzare i governi precedenti, Jones non li trova affatto superiori a quello guidato dalla Meloni, «almeno in termini di potenziale democratico e ideali liberali». Si sono infatti succeduti governi tecnocratici, instabili e impopolari, frutto di «matrimoni di convenienza» tra partiti elettoralmente «poco attraenti« e scarsamente rappresentativi. Il governo Conte, ad esempio, fu guidato da «un avvocato strappato all'oscurità dal M5S per farne un primo ministro di facciata», di cui molti, a partire da Salvini, hanno però «sottovalutato la bramosia di potere». Per il professore della Johns Hopkins, insomma, non ci sono dubbi: il governo Meloni, per quanto a qualcuno possa sembrare «preoccupante», è in realtà «popolare e competente».

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