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Donzelli, il metodo-dem: se i "compagni" si trasformano in inquisitori

Iuri Maria Prado
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Qualunque cosa si pensi delle esibizioni parlamentari dell’on. Donzelli e dei suoi scambi di informazioni con il collega di partito, il sottosegretario Delmastro Delle Vedove, la cosa chiara è che per il trattamento del pasticcio ci si è puntualmente affidati, a sinistra, all’invocazione del presidio processuale e giudiziario: nell’idea, irrinunciabile e meccanica da quelle parti, che sia quell’ambito inquisitorio a dover sfornare la soluzione appropriata.

Sotto la superficiale compostezza di un improbabile costituzionalismo legalista, quel comparto della classe politica e parlamentare continua in realtà a coltivare la convinzione che l’altrui gesto discutibile, l’altrui impostazione criticabile, l’altrui decisione inappropriata, debbano necessariamente essere l’espressione di un movente fuorilegge. Perché solo contro la legge, solo al di fuori del perimetro della liceità, solo in violazione dell’ordinamento può esistere un potere che non sia quello di sinistra, o partecipato dalla sinistra: fuori di lì ci può essere solo golpismo fascista, dossieraggio, governo della malavita, appunto roba da tribunale.

 

Se uno come Donzelli dice una stupidaggine, chiedendo alla sinistra di dimostrare che essa non sta dalla parte della mafia e dei terroristi, il capo di un’opposizione decente non va a dirlo alla signora maestra in toga, non fa insomma come Enrico Letta che chiama gli avversari “a rispondere delle calunnie nelle sedi opportune”. Fosse per questi qui, a presiedere la Camera metterebbero un pubblico ministero.

 

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