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Giuseppe Conte perde mezzo milione di fannulloni? Lo studio choc

Sandro Iacometti
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Difficile dire se è l’aria nuova che tira, l’intensificazione dei controlli, i criteri più stringenti, la prospettiva terrificante di doversi rimboccare le maniche. Fatto sta che se continua così alla fine non ci sarà nemmeno bisogno della riforma. Il reddito di cittadinanza si estinguerà da solo. Confermando un trend già in atto nei primi mesi dell’anno, ad aprile l’esercito di elettori di Giuseppe Conte si è ritrovato con quasi mezzo milione di famiglie in meno rispetto agli anni d’oro, che in termini di voti potrebbero sfiorare il milione di preferenze. Una diaspora che, sarà un caso, va di pari passo con il calo di consensi dei Cinquestelle.

 

 





IL SUD RESISTE

Per carità, resta una solida roccaforte al Sud e nelle Isole, dove ci sono ancora 641mila nuclei (1 milione e 442mila persone, con Napoli che svetta con 140mila famiglie e 357mila persone) che beneficiano del sussidio, rispetto ai 180mila del Nord e ai 135mila del Centro. Ma il calcolo complessivo dei percettori (inclusa la pensione di cittadinanza) vede per la prima volta dall’ottobre del 2020, periodo che coincideva con la prima pausa prevista dopo i 18 mesi di incasso, e quindi fisiologicamente più fiacco degli altri, sotto la soglia del milione. Per la precisione si tratta di 956mila nuclei, circa 450mila in meno rispetto al picco raggiunto nel luglio del 2021, quasi 100mila in meno rispetto a marzo. Per avere un’idea di cosa stia accadendo bisogna confrontare i primi 4 mesi dell’anno con lo stesso periodo del 2022. Le domande si sono fermate a 366mila, 12 mesi fa erano 485mila. Il calo è del 24,53%. In altre parole, un quarto delle persone che fino a poco fa pensava di potersi mettere in tasca la paghetta a spese dei contribuenti ha rinunciato.

 

 

 

Sono diminuiti i poveri? Difficile crederlo. L’economia va bene, l’occupazione cresce, e il taglio del cuneo fiscale ha sicuramente dato un po’ di ossigeno. Ma l’inflazione morde ancora e sarebbe ingenuo pensare che in pochi mesi un quarto dei bisognosi sia uscito dallo stato di indigenza. La spiegazione più probabile è che la determinazione del governo nel trasformare il regalo di Stato in un aiuto a chi non ha lavoro per il tempo necessario a trovare un’occupazione stia operando una salutare scrematura tra chi ha veramente bisogno e chi, di fronte all’idea di doversi mettere a sgobbare fin dall’inizio, partecipando ai corsi di formazione, preferisce rinunciare a quei 500/600 euro che, magari, si aggiungevano ad un’attività in nero. Tanto per dire, una delle modifiche già in vigore, introdotta nella legge di stabilità, prevede che chi accede al reddito debba firmare una dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro, cosa precedentemente prevista solo al momento del primo contatto coi centri per l’impiego. Un obbligo sulla carta, ma non nella realtà.

 

 

 

I FURBETTI

Basti pensare che dei beneficiari non occupati tenuti alla sottoscrizione del patto per il lavoro, a dicembre del 2022 aveva adempiuto ai suoi doveri solo il 46,2% del totale. L’altro 53,8%, pur ricevendo il sussidio se n’è bellamente fregato di rispettare l’obbligo di attivarsi per essere preso in carico dai servizi per l’impiego. In termini assoluti si tratta di 390mila individui, una quota non proprio marginale. Ma è così disumano trasformare la cuccagna grillina in uno strumento più efficace e selettivo per aiutare le persone ad uscire dalla povertà con un po’ di olio di gomito?

 

 

 

Il Pd, che a dire il vero nel 2019 aveva votato contro la riforma bandiera del Movimento Cinquestelle (che all’epoca dell’introduzione del reddito di inclusione piddino, nel 2017, si era limitato all’astensione), ritiene di sì. Al punto che ieri in Conferenza Stato-Regioni ha provato a mobilitare i suoi governatori per mettere i bastoni tra le ruote alla riforma messa a punto dal ministro Marina Calderone nel decreto lavoro. Gli assessori di Emilia-Romagna, Toscana, Campania e Puglia, si sono infatti schierati contro il provvedimento del governo che «rischia di creare una grossa emergenza sociale». Opposizione curiosa, visto che il nuovo Assegno di inclusione per il contrasto alla povertà, che scatterà dal primo gennaio 2024, somiglia molto da vicino al Rei varato da Paolo Gentiloni, mentre il Supporto per la formazione e il lavoro, che sarà in vigore dal primo settembre di quest’anno si intreccia con il programma Gol (Garanzia di occupabilità per i lavoratori), che è stato fortemente voluto dall’ex ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Ma tant’è. 

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