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Carlo Calenda tuona contro Emiliano? Ma è lui che lo tiene a galla

Annarita Digiorgio
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La maggioranza di Michele Emiliano si mantiene solo grazie a Carlo Calenda. Chi l’avrebbe mai detto per quello che un tempo era il suo nemico numero uno: «Schiavo delle lobby del gas e del carbone, fan dei tumori» lo chiamava Emiliano, «Calenda si è iscritto al Pd per tutelare quegli interessi opachi che io ho contrastato da magistrato». E Calenda gli rispondeva: «Tu sei quello di Tap, Xylella e Ilva e io davvero non riesco a pensare a nessuno peggiore di te per governare qualsiasi cosa. Un bugiardo con le pose e l’arroganza di un satrapo orientale». Renzi, all’epoca presidente del Consiglio, provò pure a fargli fare pace, proponendo di offrire al governatore e al suo ministro «un piatto di orecchiette», ma la guerra continuò tra ricorsi, tweet e diktat. «Chiunque vinca il congresso deve tenere a debita distanza Calenda, come noi stiamo facendo in Puglia» disse ancora Emiliano nel marzo di un anno fa. Oggi tutto si è ribaltato, nella terra dei trasformisti. Con l’uscita dalla maggioranza dei cinque consiglieri regionali dei 5 Stelle, annunciata da Conte in conferenza stampa a Bari, ora a mantenere l’amministrazione di Emiliano sono solo i tre consiglieri di Azione.

La maggioranza è costituita da quattordici consiglieri del Pd, tre della civica, cinque della lista di Emiliano e per l’appunto i tre di Azione. In totale sono venticique. Per arrivare a ventisei, e quindi alla maggioranza di cinquanta, serve il voto dell’assessore dimissionario Anita Maurodinoia, uscita dal Pd. Che probabilmente non si presenterà in aula per un bel po’ di tempo. All’opposizione invece abbiamo quattro consiglieri di Forza Italia, cinque di Fdl, quattro della Lega, due civici e quattro del misto (tra cui il consigliere di Italia Viva). A cui si aggiungono i cinque dei 5 Stelle. Siamo a ventiquattro. Se Maurodinoia passa all’opposizione, si arriva alla parità. Se lo fanno anche i tre di Azione, allora Emiliano cade. Cosa che non faranno. Neanche un mese fa, in accordo con Pd e 5 Stelle, il segretario regionale di Azione, Fabiano Amati, è stato confermato presidente della Commissione bilancio e siede, con i suoi due colleghi calendiani, tra i banchi della maggioranza. Da cui Azione non si è mai spostata neanche quando Emiliano aveva minacciato di non rientrare più in aula se non fossero passati all’opposizione. Loro non si sono mai mossi, ed Emiliano è rientrato come nulla fosse.

 

 

 

Eppure due giorni fa, in una intervista sullo scandalo pugliese, Calenda ha detto: «Di Emiliano ho sempre pensato male, tanto che ci candidammo contro». A candidarsi in realtà fu Scalfarotto. Senza fare però nessun eletto. Infatti i tre consiglieri ora in Azione erano candidati con Emiliano, e solo dopo essere usciti dal Pd sono passati con Calenda. Tutto iniziò alle politiche, quando Calenda imbarcò Massimo Cassano, che per Emiliano era direttore dell’agenzia Arpal (e firmava assunzioni pubbliche in piena campagna elettorale). Grazie ai suoi voti scattò il seggio a Mara Carfagna, ma Cassano rimase fuori e dopo pochi mesi lasciò Azione. A quel punto Calenda imbarca due fuoriusciti dal Pd e uno da una civica di Emiliano, nominando Amati, al suo primo giorno in Azione, direttamente commissario del partito regionale. Loro promisero di rimanere in maggioranza, nonostante Calenda continuasse a dire che Emiliano fosse il peggior governatore d’Italia. Ma Pd e 5 Stelle protestarono e dissero: «Emiliano scelga: o noi o Calenda». Il governatore fece finta di cacciare i calendiani, ma quelli rimasero tranquillamente, e dopo due mesi tutti dimenticarono questa storia. Oggi, con l’uscita dei 5 Stelle, sono loro a tenere in piedi Emiliano. Chissà che cosa ne pensa Elly Schlein, che a Emiliano ha intimato di cacciare i trasformisti. 

 

 

 

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