Tuvalu, l’isola che dovrebbe sparire è più grande di prima: catastrofisti muti

di Tommaso Lorenzinivenerdì 25 luglio 2025
Tuvalu, l’isola che dovrebbe sparire è più grande di prima: catastrofisti muti
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L’allarmismo climatico impostato come dogma può risultare altrettanto dannoso degli stessi cambiamenti climatici sui quali si lancia l’allerta, soprattutto se si prendono per dato di fatto le stime, le previsioni e i modelli matematici che profetizzano disastri e relative ripercussioni. Del resto, “Dieci anni per salvare il pianeta. L’allarme degli scienziati dell’Onu”, 9 settembre 2013, Repubblica. E l’umanità sarebbe stata «spazzata via» se non si fosse abbandonato l’uso di combustibili fossili «nei prossimi cinque anni», sentenziava Greta Thunberg nel 2018...

Se negare la competenza degli scienziati è sciocco, sintetizzare le loro conclusioni in maniera errata porta tutti fuori strada. «L’isola che non c’è più», titola ieri La Stampa, spiegando che Tuvalu, realtà composta da più isole e situata nell’Oceano Pacifico a metà strada tra le Hawaii e l’Australia, è «il primo stato che sta scomparendo per il cambiamento climatico». Il tutto corredato dalla foto in prima pagina del ministro degli Esteri dell’isola, Kofe, ritratto in cravatta e pantaloni corti, con l’acqua alle ginocchia per denunciare l’innalzamento dei mari.

Un’immagine potente che però ha un però. Non l’innalzamento dei mari, fenomeno documentato, quanto il fatto che bisogna arrivare a pagina 19 per scoprire che lo scatto risale al 2021 e dunque non è notizia del giorno, e che Tuvalu non è affondata per niente.

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NATURE E I COREANI

Inoltre, le previsioni degli esperti non dicono che l’isola scomparirà domani ma, combinando i dati di crescita delle acque con l’erosione e altri fattori naturali come il cuneo salino si arriva alla conclusione che «per il 2100 il 95% di Tuvalu sarà sommerso nelle fasi di alta marea». Non appare una fine impronosticabile per un territorio la cui superficie totale è di 26 km quadrati e il cui punto più alto è di 4,6 metri sul livello del mare. Certo nessuno si augura la sparizione di questo paradiso polinesiano abitato da circa 12mila persone (per cui sono già stati avviati programmi di ricollocamento in Australia), tuttavia sarebbe utile far notare che diversi scienziati contraddicono la paventata sorte per inghiottimento.

La ricerca pubblicata su Nature nel 2018 spiegava che «studi condotti a Tuvalu, dove il livello del mare sta aumentando al doppio della media globale, hanno dimostrato che, nonostante ciò, alcune isole sono aumentate in superficie a causa dell’accrescimento e della “migrazione” delle coste. Ciò evidenzia il potenziale per le isole di persistere come spazi abitabili». Un ampio articolo che mostra «un aumento del 2,9% della superficie terrestre di Tuvalu negli ultimi quattro decenni, con il 74% delle isole in aumento, nonostante l’innalzamento del livello del mare».

Analisi confermata dalla ricerca “Rassegna dei cambiamenti costieri pluridecennali a Funafuti, Tuvalu, dal 1897 al 2015”. Pubblicata a fine 2023, e realizzata dal Korea Institute of Ocean Science & Technology, «riassume l’entità dei cambiamenti costieri a lungo termine nei diversi isolotti di Funafuti e nell’intera isola di Tuvalu (...).

Nonostante le diverse cause e le ipotesi degli scienziati sulla scomparsa di queste terre, l’accrescimento è più dominante dell’erosione, con un conseguente aumento netto del 7,3% della superficie terrestre di Tuvalu in 117 anni, fino al 2015». Perché? «I violenti cicloni tropicali hanno causato principalmente l’accrescimento delle terre emerse», spiega la ricerca, «formando barriere coralline e ulteriori trasformazioni ed erosioni in piccole isole sabbiose, mentre i frequenti cicloni a bassa energia hanno causato principalmente l’erosione. Sebbene finora la grave erosione delle aree costiere non sia stata evidenziata dal livello di marea superficiale globale (SLR), gli isolotti di Funafuti hanno registrato un notevole aumento della linea di costa con la formazione di una barriera di detriti larga 30-40 m lungo 19 km nel 1971 a causa del ciclone tropicale Bebe e un aumento netto di superficie di 3,45 ettari a causa del ciclone tropicale Pam nel 2015».

IL PROGETTO

Vero, l’istituto coreano non derubrica gli allarmi su Tuvalu ma non fa del catastrofismo e chiede «misure di protezione per prevenire l’erosione costiera». Progetti già ben avviati, come il Tuvalu Coastal Adaptation Project, che fa capo all’ UNDP (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo), «iniziativa da 17,5 milioni di dollari, sostenuta da Australia, Nuova Zelanda e Usa» e in via di ultimazione, che «proteggerà circa 800 metri di litorale vulnerabile lungo la laguna meridionale dell’isola di Fogafale, dove risiede quasi la metà dei 12mila abitanti di Tuvalu. Il progetto prevede la bonifica di 8 ettari di nuovo terreno elevato, che fornirà un rifugio sicuro alle comunità minacciate dalle ricorrenti maree e dall’innalzamento del livello del mare». Insomma “Tuvalu l’isola che non c’è” esiste ancora e potrebbe farlo ancora a lungo.

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