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Leo Gullotta: "Io gay? Ma chi se ne frega"

Daniele Priori
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Leo Gullotta non ha mai fatto coming out. E questa è già una notizia, perché pensavamo che il celebre attore, oggi 78enne, fosse stato tra i primi personaggi italiani dello spettacolo a “uscire fuori”, ovvero a dichiararsi omosessuale. Lui ce lo spiega così: «Era il giorno d’uscita del film Uomini uomini uomini per la regia di Christian De Sica. Alla fine della conferenza stampa mi fu chiesto se nella vita fossi realmente omosessuale e io risposi semplicemente di sì. Tutto qua. La cosa fece scalpore perché eravamo a metà degli anni Novanta. Oggi il mondo è cambiato. Ma ci vogliono serenità e rispetto per l’amore, per la civiltà e per i diritti conquistati. Per questo mi piace ancora dire viva l’Italia antifascista». E in qualche modo è esattamente nel crinale che va dal 1999, anno in cui è ambientata la storia, a oggi, giorni nei quali torna in scena, che si dipana l’essenza di In ogni vita la pioggia deve cadere, piece teatrale scritta e diretta da Fabio Grossi, regista e anche attore che affianca Gullotta sul palcoscenico. Prossimo appuntamento a Roma, al Teatro Parioli, da venerdì 26 a domenica 28 gennaio.

Come vi sentite a portare in scena uno spettacolo così vicino alla vostra esperienza quotidiana?
«È bene dire anzitutto che non c’è assolutamente nulla di autobiografico. Ovunque lo spettacolo è accolto e molto amato. Racconta la quotidianità di un amore senza confini di genere in cui l’omosessualità è solo un dettaglio. La coppia protagonista potrebbe essere anche eterosessuale. Sicuramente oggi più di ieri il pubblico va strattonato dal torpore che dalla pandemia in poi, guerre comprese, ha bloccato i cittadini nei valori e nelle loro vite. Però una volta che sono in sala e attraversano la vicenda assolutamente comune di questa coppia che si ama da quarant’anni, il pubblico lentamente entra nell’iter che lo conduce alla fine dello spettacolo che si conclude con una pioggia che cade in maniera drammatica e mette gli spettatori nella condizione di tirare fuori i fantasmini che hanno nell’anima. E’ un testo scritto nel 2004, ascoltando una piacevolezza musicale. Fabio Grossi ha trovato giusto per lo spettacolo proprio il titolo di quel pezzo musicale. Si tratta, dunque, anche di un omaggio a Ella Fitzgerald».

Nel mondo dello spettacolo trent’anni fa, quando si seppe della sua omosessualità, ha incontrato più solidarietà, più amicizia o più ipocrisia?
«Pochi colleghi e amici, quelli veri e mentalmente più liberi, mi stettero accanto mandando messaggi di speranza. Ma oggi è giusto guardare ai giovani che sono molto più liberi anche nel vivere pubblicamente amore e sessualità anche come bandiera sociale. Non è più il tempo de Il vizietto».

Lei però nel 2012, un tempo molto più recente, denunciò di essere stato ostacolato perché gay nell’interpretazione di Padre Puglisi...
«Sì ma anche quella storia l’ho lasciata alle spalle. Ho lavorato tanto nelle fiction in abiti talari. Quella volta credo ci sia stata la paura, da parte del funzionario Rai, nel pensare che il meraviglioso don Puglisi, in odore di beatificazione, potesse essere interpretato dall’omosessuale Gullotta. Ma sbagliò completamente perché al Vaticano invece pare non interessasse proprio nulla di tutto ciò...».

Cosa pensa in tal senso delle attuali aperture di Papa Francesco verso la comunità lgbt+?
«Papa Francesco è una figura enorme. È l’unico vero uomo politico che parla davvero di pace e lo rispetto profondamente».

Lei è credente?
«Sono agnostico ma ogni tanto vado in chiesa, quando ho bisogno di silenzi e di ritrovarmi con me stesso».

Cosa rappresenta per lei il teatro?
«Il teatro l’ho scoperto casualmente. Da ragazzino curioso quale ero, cresciuto in una Catania che negli anni Cinquanta per i giovani non offriva niente, Senza fuochi sacri e senza sapere nulla, ho iniziato il mio lavoro a 14 anni al Teatro Stabile di Catania, sin dalla sua inaugurazione con la direzione di un uomo meraviglioso come Mario Giusti. Dieci anni là dentro sono cresciuto. Tutto quello che so l’ho appreso in quella formazione a fianco a nomi come Randone e Turi Ferro, Glauco Mauri,Valeria Moriconi e così via. Loro mi hanno dato lezioni che però ho preso anche da persone non note come i tecnici o i siparisti che mi hanno impostato insegnandomi a rispettare il pubblico, a fare mio lavoro con onestà, ad essere sereno nel farlo ma puntando a conoscere tutti i linguaggi: quello del palcoscenico, della macchina da presa, del microfono».

Mi ha parlato della sua formazione a Catania. Ha avuto modo di conoscere e incontrare un altro grande artista catanese quale è stato Franco Battiato, peraltro figlio della sua stessa generazione...
«Certamente. Ho sempre amato e rispettato l’amico Battiato. Persona ricchissima dentro. Di una ricchezza che se la cerchi come ha fatto lui può davvero migliorarti la vita».

Il Bagaglino che esperienza è stata? Quali sono i suoi ricordi di quegli anni?
«È stato un lavoro portato avanti intensamente tutti i santi giorni che ha dato vita a un prodotto entrato nelle case degli italiani per vent’anni. Non è stato un giorno. Era diventato un appuntamento. C’era la capacità di guardare il mondo in modo ironico grazie a due signori autori come Castellacci e Pingitore. C’erano altri signori che sapevano professionalmente cosa fosse il varietà. Penso al signor Franco, allo straordinario Oreste. Questo vuol dire tanto. Poi si può condividere o meno la maniera dello spettacolo ma non si può fare a meno di guardarne la cosiddetta professionalità».

E la signora Leonida che fine ha fatto?
«È in pensione (sorride, ndr) Sono molto grato a quel personaggio e non solo quello che mi ha fatto entrare nelle case degli italiani con affetto e simpatia. Sentimenti che riscontro ancora oggi girando l’Italia. Pensare che quei personaggi non li ho mai ripetuti fuori dal Bagaglino. Li ho fatti solo al Salone Margherita».

A proposito, sta seguendo la battaglia di Pingitore per riaprirlo il Salone Margherita?
«Da cittadino, oltre che da attore, non posso che essere vicino alla battaglia di Pingitore che apprezzo particolarmente. Non credo che un luogo storico come il Salone Margherita possa essere trasformato in una probabile jeanseria...»

L’altro suo personaggio legato al Bagaglino è stata la parodia di Maria De Filippi.
«L’ho imitata quando lei stessa stava iniziando. Maria era e forse è ancora una persona molto timida. Quando è venuta fuori quella vignetta televisiva credo abbia anche contribuito a renderla immediatamente simpatica».

A Roma sarete in scena al Parioli. Il teatro legato in maniera indelebile a Maurizio Costanzo...
«Tornerò in un luogo che mi è particolarmente caro. Così come lo è il ricordo di Maurizio. Una persona che ho stimato e da cui ho ricevuto stima, tanto che ha prodotto due miei spettacoli di prosa. È stato una persona rara, un uomo curioso che aveva un bisogno continuo di lavorare, di scattare. Una figura importante per la televisione e per il Paese».

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