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Agostino Saccà e l'addio di Amadeus: "Mamma Rai sopravviverà però ha bisogno di riforme"

Alessandra Menzani
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Agostino Saccà, monumento della Rai dove ha ricoperto quasi tutti gli incarichi dirigenziali dal 1976 al 2007, uomo di prodotto ma anche di numeri, ha lanciato Amadeus per la prima volta nel preserale con In bocca al lupo nel 2000. Su Libero commenta l’addio alla Rai del conduttore per «nuovi sogni» televisivi che si chiamano Nove (del gruppo Warner Discovery). E molto di più.

La Rai sopravviverà all’addio di Amadeus?
«Sì. E' molto forte strutturalmente ma è indebolita per la mancanza di risorse. Tutto nasce quando il governo di Matteo Renzi le sottrae 350 milioni di euro spostando il canone nella bolletta. Il governo Renzi ha sottratto risorse in modo illegittimo in quanto secondo una sentenza il canone è una tassa di scopo. La situazione è rimasta praticamente inalterata negli anni eccezion fatta per il primo governo Conte in cui cento milioni sono stati restituiti. In questo quadro la Rai risulta indebolita anche perché la concorrenza aumenta in modo esponenziale. Colossi come Warner Discovery, come abbiamo visto, fanno sforzi economici enormi».

 

 

 

Si dà la colpa alla politica se Amadeus se ne è andato. Alle pressioni che lui avrebbe ricevuto per piazzare quello o quell’altro artista a Sanremo. Reputa verosimile questa lettura?
«Guardi, io in Rai ho ricoperto quasi tutti i ruoli. Ho fatto di tutto. La politica è sì azionista dell’azienda ma non è così intrusiva come dicono tanti, il management è libero perché deve rispondere sul budget e sui conti. In questo senso la politica non è colpevole dell’addio di Amadeus. E lasciamo stare i pettegolezzi su di lui che vuole un programma per la moglie o sui politici che volevano mettere Povia a Sanremo, sono solo pettegolezzi. Ma la politica è responsabile in un altro senso».

Quale?
«Il governo dovrebbe dare risorse alla Rai, invece la politica è distratta colpevolmente. Ecco perché se ne è andato: Nove è stata in grado di pianificare investimenti di cento milioni in quattro anni. Tutto qui. E per fortuna che è andato in una rete lineare e non una pay tv: lì sarebbe stato solo per pochi. La Rai sta perdendo valore. E' un problema enorme».

In che senso?
«Deve trovare le risorse. Senza una vera riforma della governance e senza un’interpretazione autentica della natura giuridica rischia la Rai rischia. Dieci anni fa valeva 7-8 miliardi di euro, e includo anche il patrimonio immobiliare. Oggi molto meno, senza tutti questi asset. Nonostante questo copre il 38% dell’ascolto. Quando c’ero io, ai tempi del governo Berlusconi erano il 45%. E' un’azienda forte ma lo stess che sta subendo è molto. Alcuni esempi: i tedeschi pagano 250 euro di canone. Per la Bbc inglese il canone è 220 euro. Il nostro canone era 90 e ora è 70. Una grande tv dovrebbe dotarsi di risorse giuste. Basterebbe che questo parlamento interpretasse in modo autentico la natura giuridica della Rai. Ora le Olimpiadi e i Mondiali sono di Viale Mazzini, che li offre gratis. Pensi se andassero ad Amazon o Dazn. La Rai ha un ruolo sociale fondamentale per i cittadini: pensiamo a cosa ha fatto durante la pandemia, alle fiction. Diciotto milioni di famiglie italiane, secondo i dati Istat, non possono permettersi i cosiddetti consumi “sofisticati”, ovvero libri, pay tv, cinema. Lasciare una Rai senza risorse significa allargare il fossato ancora di più tra famiglie agiate e quelle più povere».

Un tempo i soldi c’erano, quindi. Racconti un aneddoto per farci capire.
«Andiamo a 24 anni fa. Ero vicedirettore vicario della Rai. Avevamo questa soap opera, Capitol. Rai World ci disse che avevano tante altre belle puntate pilota da comprare. Partimmo per Los Angeles io e Claudio G. Fava, critico cinematografico, che allora era capostruttura della Rete Due. Vedemmo Beautiful, che come sa per tre anni andò in onda in Rai prima che passasse a Mediaset. La trovammo molto interessante. Avevamo il diritto di primo rifiuto, la serie costava 5 miliardi di lire per mille pezzi da venti minuti. Non avevamo la procura per una cifra simile. Chiamai Biagio Agnes, allora direttore generale. Ci davamo del tu, eravamo entrambi giornalisti. Ci mandò la procura per cinque miliardi di lire in poche ore».

Altri tempi, altro mondo.
«Mi rendo conto ma è così agisce un’impresa, e pensi che allora la concorrenza era solo Mediaset. Oggi se devi impegnare 2 mila euro devi fare una gara di appalto».

Cosa pensa del tetto ai compensi?
«Eticamente è giusto, ma è una follia in un mondo di libero mercato. Per i conduttori il tetto non c’è, ma c’è per i dirigenti. I migliori se ne vanno. Il tetto è figlio di una Rai considerata per sentenza della cassazione come se fosse una amministrazione pubblica».

 

 

 

Che giudizio dà alla dirigenza Rai?
«Giampaolo Rossi è gradito al governo, come è giusto che sia, è un professionista di grande valore a cui andrebbero dati gli strumenti giusti».

Torniamo ad Amadeus: ha condotto cinque edizioni oggettivamente trionfali di Sanremo. Lei chi metterebbe adesso alla guida?
«Sanremo rende il doppio di quanto costa. Sono stato due volte direttore di Raiuno, ho portato Fiorello in prima serata, anche Giorgio Panariello, con Fabio Fazio facemmo un Sanremo di rottura rispetto alle stagioni di Pippo Baudo. Adesso il lavoro da fare sarebbe capire a che pubblico rivolgersi. Amadeus ha fatto un’operazione intelligente e rischiosa: ha consolidato il pubblico e lo ha ampliato coi giovani: il 90% degli under 25 che guardava la tv, guardava Sanremo. Ci è riuscito con un’opera di “profanazione”: ha inserito musicisti quasi borderline e ha conquistato i ragazzi. Ha avuto una velocità di narrazione quasi da web ma si è tenuto il pubblico agè. Chi arriva al suo posto dovrà consolidare il lavoro di Amadeus. Sanremo è una messa cantata da tutti, anche dai miscredenti».

Qualche nome?
«Penso a tre persone. La Rai ha un serbatoio enorme di nomi: deve attingere lì». 

 

 

 

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