Cerca
Logo
Cerca
+

Roberto De Zerbi svela a Libero il "miracolo" Sassuolo: "Una vittoria per caso è come una sconfitta"

Giulio Bucchi
  • a
  • a
  • a

«Ciao ragazzi, vi hanno offerto il caffè?». Eh, magari mister (De Zerbi ndr). Fa freddino, c' è il cielo coperto qui a Sassuolo. Un po' triste se vogliamo... «A me il tempo così piace moltissimo, al contrario mi dà fastidio il sole. Del resto è tutto relativo, come nel calcio: non c' è una cosa bella a prescindere, dipende da chi la osserva».  Mister, stai facendo tu l' intervista a noi, fai il bravo e dicci cosa pensi di questa Nazionale traballante.  «Abbiamo giocatori molto forti come Bernardeschi, Chiesa o Barella, ma fatichiamo perché non hanno ancora esperienza, non sono al pieno del loro potenziale. Comunque Barella è fortissimo». Al posto di Mancini porteresti la tua idea di gioco o sarebbe impraticabile?  «Le qualità per applicare il mio tipo di gioco ci sono, e sono contento che Mancini abbia schierato giocatori di questo tipo, è un grande punto di partenza. La qualità non tradisce mai. Ma io ho già abbastanza faccende da risolvere nel Sassuolo, non mi permetto di pensare al lavoro di Mancini». In effetti il vostro è proprio un mestiere...  «...di merda? Per me è il più bello del mondo». Vivete con l' angoscia costante dei risultati...  «Io ogni mattina sono felice per quello che farò durante la giornata. Poi, certo, non disfo mai completamente la valigia, anche se ho la fortuna di essere in una società che non guarda solo all' oggi ma al domani e al dopodomani. Un allenatore sogna di finire in posti così». Spesso non succede...  «Mi è capitato di rifiutare club dove intravedevo difficoltà nel portare avanti il mio lavoro. Questa è una conseguenza della mia esperienza a Palermo a soli 37 anni: è stata una grande scuola, ho imparato che il lavoro non basta se non viene accompagnato non dico da un "progetto" - è una parola che in Italia non esiste - ma almeno dalla serietà». Diresti ancora «sì» a Zamparini?  «Sì, proprio perché mi ha formato. A Palermo ero in difficoltà perché la squadra non l' avevo creata io, se giocavo "a 3" mi dicevano che dovevo giocare "a 4", se schieravo Giovanni mi dicevano che doveva giocare Piero. Io spiego le scelte perché è giusto motivare, ma esigo autonomia: è il mio lavoro». In una situazione complicata come quella di Benevento sei riuscito a «fare calcio» e tutti se ne sono accorti.  «Quello che mi rende più orgoglioso è che quella squadra ha assorbito il mio carattere. Si allenava al massimo, andavamo in giro rispettando tutti, ma con coraggio e un' idea chiara». ...e noi giornalisti scrivevamo «che bravo De Zerbi!» quando vincevi e «sì, ma dovrebbe coprirsi di più!» in caso contrario.  «Rispetto tantissimo le opinioni altrui perché parto da un presupposto: non esiste un solo tipo di calcio, quindi tutti hanno ragione e tutti hanno torto, anche chi ha vinto. Perché anche chi ha vinto, come Mourinho ad esempio, ha pure perso. O Conte: ha stravolto la Juve ma prima era stato cacciato dall' Atalanta. L' importante è che quando si va a giudicare un' idea la si rispetti e si cerchi di comprenderla». È vero che snobbi la fase difensiva?  «Quando mi dicono "non cura la fase di non possesso" divento matto: se uno viene con me una settimana capisce che l' aspetto difensivo per me è prioritario, però utilizzo modalità diverse, non tradizionali e lontane dalla cultura italiana. Spesso la stampa arriva a conclusioni facili, dettate solo dal risultato: mi sta bene, però devi fermarti alla cronaca. Se invece vuoi "giudicare" devi avere gli strumenti per capire la partita e spiegarla, non partire dal risultato e andare in retromarcia». Ti senti «diverso» dai tuoi colleghi?  «Non sono diverso io, lo è la mia richiesta. Non è più bella o più brutta, è solo differente rispetto a quella classica. La conseguenza è che quando le cose vanno bene mi esaltano oltre i miei meriti e quando vanno male mi massacrano. Da questo punto di vista i colleghi più "tradizionali" sono meno sotto pressione. Lo accetto, ma vorrei si cambiasse qualcosa nell' analisi delle partite, invece si banalizza troppo». Noi media siamo fissati con il risultato, arrenditi.  «Se non abbiamo meritato io vado in conferenza stampa e mi autodenuncio: con il Genoa abbiamo vinto ma ero insoddisfatto e l' ho detto. Con la Juve abbiamo giocato una delle nostre migliori partite, ma abbiamo perso e allora "il Sassuolo si è sgonfiato". Per me il risultato non è importante, è importante "come" arrivo al risultato. Se vinco "per caso" non mi interessa». Ci spieghi perché per molti tecnici è diventato fondamentale far partire il gioco dal portiere?  «È semplice: se lo fai bene hai molte più possibilità di arrivare in porta: attiri gli avversari, esci palla al piede e crei una superiorità dall' altra parte». Sì ma a volte si rischiano colossali figure di merda...  «Fa niente! Io non me la prendo se un mio giocatore sbaglia facendo una cosa che gli ho chiesto, mi arrabbio se sbaglia e poi si nasconde. Locatelli con il Napoli ha sbagliato ma non si è nascosto».   ...poi ha sbagliato ancora. C' è chi ha pensato: «Non è in giornata, perché De Zerbi non lo toglie?».  «Non tolgo un giocatore durante il primo tempo, i ragazzi non vanno umiliati. A Coverciano ti insegnano che se uno non è in giornata va tolto anche subito, io non lo faccio. La psicologia è fondamentale». Se potessi scegliere nel muc...  «Verratti. Volete sapere che giocatore vorrei, vero? Verratti, perché ha tutto». Il tuo difensore preferito?  «Koulibaly non è male...». E l' attaccante?  «Vabbé Messi. O Cavani per lo spirito. Ma anche André Silva mi piace molto». Qual è l' allenatore con cui sei andato più d' accordo?  «Ho litigato con quasi tutti, ero un rompipalle. Litigavo, però ci volevamo bene, in particolare con Mandorlini e Marino. Molti non avevano la sensibilità che io cerco di avere con i miei ragazzi: se giocavi male ti escludevano, non si avvicinavano emotivamente». Come dici tu: «La psicologia è importante».  «La società di oggi è diversa rispetto a quando ero giovane io. All' epoca allenatori e insegnanti li rispettavi a prescindere, altrimenti le prendevi. Se oggi pretendi rispetto senza darlo è sicuro che finisce male: io chiedo il tuo parere, ti ascolto, tu in cambio devi accettare le mie scelte». Contro l' Empoli hai cambiato mezza squadra: lo hai fatto per un problema di fatica o per altri motivi?  «Per gestire le forze e per coinvolgere tutti. Se dico ai miei "in campo dobbiamo divertirci" ma poi non li metto mai, non sono credibile». Chi ha pensato a Boateng?  «L' estate scorsa dovevo andare al Las Palmas, era tutto pronto ma rinunciai perché mi avevano chiesto di non essere completamente sincero con i ragazzi. Osservai Boateng: era un attaccante di manovra ma atipico, con il fisico di una vera prima punta. Quando mi sono accordato con il Sassuolo ho pensato che sarebbe stato perfetto, anche per una questione di "personalità"». Marlon sta facendo bene...  «Viene dal Barcellona, è un '95 brasiliano... È un giocatore da grande squadra, anche se ogni tanto ha delle pause come se fosse a Copacabana». Ti sta stupendo Sarri?  «Sì, non immaginavo potesse partire così bene. Di fatto ha ricostruito il Napoli a Londra». È più difficile essere Allegri alla Juve e dover gestire i campioni o Ventura al Chievo e cercare la salvezza con una rosa limitata?  «Alla Juve le partite le vinci, al massimo devi saper gestire qualche insuccesso, quando devi salvarti è la resistenza ai ko che cambia la stagione. Resistere, resistere, resistere!».  Come si gestisce uno come Ronaldo?  «Come richiede un giocatore di talento. In proporzione nella stessa maniera in cui gestisco ora Berardi. I giocatori di talento devi trattarli in maniera diversa, non meglio o peggio, ma diversamente. Perché il talento ha bisogno di esprimersi, non è lineare, bisogna creare un contesto in cui possa brillare. E poi cercherei di migliorarlo: ogni giocatore ha la possibilità e deve incrementare il suo potenziale, altrimenti è finito». Escludendo gli attuali, chi è il giocatore che hai allenato più bravo in assoluto?  «Faccio fatica a dirne uno: Sarno, Vacca, Agnelli, Diamanti, Sandro, Sagna. Al 95% dei ragazzi mi affeziono, si crea un rapporto di fiducia. Quando la fiducia viene a mancare può finire anche male...». In che senso?  «Male... Ma non a Sassuolo: quel 95% qui è un 100%» (A chiacchiere finite Roberto De Zerbi ci mostra la "stanza dei bottoni", un piccolo open space con 7 scrivanie e 7 «scienziati» che studiano 24 ore al giorno dati, avversari, moduli. Ci sono un laureato in filosofia, uno in matematica, un ragazzo scovato a Napoli che elabora strategie. «Qui decidiamo tutto», ci dice, e negli occhi gli leggiamo la follia dei grandi). di Fabrizio Biasin e Claudio Savelli

Dai blog