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Inter, il caso-Eriksen fa male a tutti: che senso ha la gestione di questa faccenda?

Tommaso Lorenzini
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In dodici mesi, Christian Eriksen e il suo umore sono passati dalla vette della presentazione alla Scala al sottoscala dello stadio Meazza. Aveva lasciato il Tottenham per provare qualcosa di nuovo, si è ritrovato sul letto di un fachiro dal quale non vede l'ora di saltare giù. Perché, inevitabilmente, l'epilogo rapidissimo quanto sconcertante della storia d'amore fra l'Inter e il danese sarà un addio durante il prossimo mercato di gennaio. Amore dunque mai sbocciato? Questo non è possibile affermarlo, perché la furibonda e grossa fetta di tifosi interisti, usciti allo scoperto per mettersi dalla sua parte, mostra come in tanti avessero riposto la speranza di accusare fibrillazioni calcistiche grazie a questo ragazzo dai piedi ottimi ma dalla capacità di sprizzare entusiasmo e grinta pari allo zero assoluto.

 

Il caso Eriksen si trascinava da mesi, ma era rimasto sul piano tecnico. Adesso è deflagrato perché traslato su quello personale, si parla apertamente di «umiliazione» da quando, sabato sera, Conte lo ha messo in campo al 91' contro il Bologna a partita finita: ha giocato un minuto. L'1 dicembre, nella vittoria sul Gladbach era stato lasciato in panchina, il 28 novembre contro il Sassuolo (successo 3-0) Conte gli ha fatto giocare 5 minuti, il 25 novembre il mister lo ha buttato dentro per i 4 minuti finali nello 0-2 casalingo col Real.

Nella rimonta sul Toro del 22 novembre non era neanche entrato. La posizione di Eriksen è diventata palese sabato: zero polemiche in pubblico, ma, mentre tutti festeggiavano, se n'è andato da solo negli spogliatoi. Se la soluzione inevitabile sarà quella della separazione (Arsenal? Real?), come già fatto capire da Marotta, alla vicenda è impossibile tuttavia attribuire un unico titolo, un'unica chiave di lettura. La realtà tecnica è che, archiviata l'idea di un'Inter sbilanciata dove Eriksen poteva aver posto, sono arrivate tre vittorie di fila in serie A e quella della speranza in Champions. In questo, Conte è inattaccabile, anche se il sedicente interista duro e puro nel nome di Eriksen ha trovato un casus belli da cavalcare per colpire il mister, per un clamoroso tutti contro tutti.

 

Non può non trovare posto sul ring anche la corrente di quanti leggono la cosa come "vendetta" di Conte nei confronti della dirigenza, che gli ha imposto Eriksen, tipo di giocatore che ritiene non funzionale al proprio calcio, mentre nell'estate 2019 aveva a gran voce richiesto un centrocampista incursore più che palleggiatore, più fisico che pensiero, più bad boy che bravo ragazzo. Il nome lo sappiamo, era Vidal, non certo la sua controfigura che si è palesata finora, ma questa è un'altra stotria. Così come è un'altra storia l'accostamento del "trattamento Eriksen" al "trattamento Del Piero": i risicati minuti finali concessi da Conte ad Alex nel 2012 erano però funzionali alla politica societaria che non voleva prolungare il contratto al numero 10 perché si togliesse dai piedi. Stavolta il club, l'Inter, che interesse avrebbe ad essere il "mandante"? Rischia solo l'autogol, il deprezzamento di un asset che potenzialmente può far riprendere i 20 milioni spesi e reinvestirli. La domanda è: è accettabile gestire così e privarsi scientemente di un calciatore pagato 7 milioni netti di ingaggio? 

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