Cerca
Cerca
+

Inter, il piano di Carlo Cottarelli: "La proposta che farò a Zhang per dare la squadra agli interisti"

Pietro Senaldi
  • a
  • a
  • a

Mamma mia dammi mille euro che voglio comprare l'Inter. Si illumina il telefonino e appare il nome "Cottarelli". Pensi: "Vorrà allungarmi un dossier che smonta il Piano di Rilancio di Draghi". Invece no; ti propone «acquistiamo l'Inter, io e te più qualche decina di tifosi». Lo dice con la stessa flemma con la quale potrebbe invitarti a prendere un caffè. L'uomo è astemio e autorevole, quindi devi prenderlo sul serio. Del resto, il professore è calmo, rassicurante e spietato anche quando spiega che l'Italia è sull'orlo del fallimento; come fai a dirgli di no se ti fa l'onore di inserirti tra gli eletti? Poi pensi anche: "Maledetti economisti, con la scusa di risollevare le sorti del mondo stanno sempre a chiederti soldi e sono pronti a ricorrere anche alla mozione degli affetti per riuscirci". Non a caso fu proprio Cottarelli a portarmi a pranzo Mario Monti, che a me, come a tutti gli italiani, è costato ben più di mille euro. E quindi ripensi: "Ma quando mai gli ho detto che sono dell'Inter" e ti sovvengono tutte le volte che dietro le quinte di un salotto televisivo provavi a rubargli segreti sull'economia e sui conti dello Stato e lui replicava commentando l'ultima partita della Beneamata, che lui aveva visto e tu no.

L'Inter comunque è una famiglia e la possibilità di rientrare, ancorché per caso, tra i nuovi patriarchi è irresistibile. "Basta che non mi fai comprare Messi e l'affare è fatto" rispondi, mentre dentro di te ti rimproveri: "Ho fatto la cazzata, sono il solito pollo. Cominci con poco e finisci rovinato". Poi arriva agosto, rivedi gente a cui non hai pensato per un anno e nessuno ti chiede di Draghi e Salvini. Sono lì con i soldi in mano, pronti a darti chi duemila, chi cinque, chi diecimila euro per comprare anche loro l'Inter, «perché io dei nerazzurri sono malato». Calma, ci sarà posto per tutti. Intanto, venerdì prossimo il presidente parlerà di azionariato popolare a Milano. Il presidente è lui, Cottarelli, non Zhang, e si parla di InterSpac, la società che vuol portare l'azionariato popolare nel nostro calcio, sul modello del Bayer di Monaco. Vantaggi pratici, a parte il poter dire di essere proprietario di un pezzo di squadra? «Con l'azionariato popolare i conti delle squadre di calcio andrebbero meglio, perché si eliminerebbe il peso di decine di milioni di interessi sul debito. E magari ci saremmo potuti permettere perfino di tenere Lukaku». Luka-chi? Allora non ti tieni: "Senti, se ti servono più di mille euro, fammelo sapere". Un po' come quando nel film "Eccezzziunale... veramente" un Diego Abatantuono insolitamente juventino in tribuna incontra Agnelli e si butta: "Ggggianni, se ti servono due lire per prendere Maradona, ci sono qui io...».

 

 

 

Cottarelli, facciamo sul serio, venerdì si riparte?

«Il progetto non si è mai fermato. Stiamo per affidare a una società di consulenza il compito di stendere il business plan e una proposta dettagliata per il possibile ingresso dei tifosi. Speravamo di presentare un piano dettagliato alla proprietà cinese dell'Inter per fine ottobre ma credo si slitterà di qualche settimana».

E quanto offriamo?

«Questo dipende dal denaro che riusciremmo a raccogliere, se ci fosse interesse da parte della società. Al Bayern i tifosi posseggono il 75% della squadra, il restante 25% appartiene alle tre "A", Audi, Adidas e Alleanz».

Sì, ma qual è la cifra?

«Non posso prezzarti ora il valore della società».

Come ti è venuta l'idea di imbarcarti in questa avventura (tra i privilegi dei soci c'è il poter dare del "tu" a professori e vip)?

«Me l'hanno chiesto tre anni fa i due attuali vicepresidenti di InterSpac, Roberto Zaccaria e Gianfranco Dentella».

E tu, che nasavi quel che sarebbe successo hai detto "sì" quando ti è saltata la mosca al naso per i mancati investimenti...

«No, nessuna polemica. Anzi, dobbiamo essere grati per quello che l'attuale proprietà ha fatto e sta facendo per l'Inter. Solo non capisco perché quattro milioni e mezzo di italiani, tanti sono i tifosi nerazzurri, non possono fare insieme quello che un miliardario arabo, americano o cinese fa da solo. Ecco, ti ho svelato anche il lato sovranista di Cottarelli».

Ma chi c'è adesso in InterSpac?

«I sedici soci fondatori più un'altra cinquantina di interisti che abbiamo coinvolto come testimonial, tra i quali anche te».

E perché Zhang dovrebbe ascoltarci?

«La situazione economica non è florida. Ci sta che un magnate straniero possa voler lavorare insieme ai tifosi per rafforzare la società».

Presidente...

«Solo di InterSpac. Io non voglio certo fare il presidente dell'Inter».

E chi lo fa allora?

«In una società dove prevale l'azionariato popolare sarebbe bello avere un ex giocatore come presidente, qualcuno di rappresentativo. Nel Bayern il presidente è stato fino a poche settimane fa Rummenigge e ora è Kahn».

Chi hai in testa?

«Non spetta a me deciderlo».

D'accordo, ma quali sono i tuoi giocatori preferiti?

«Mi piacciono le bandiere come Bergomi, ma ce ne sono tanti».

Qual è l'Inter del tuo cuore?

«Sarti, Burgnich, Facchetti...».

Troppo facile così...

«È la sola formazione che conosco a memoria, forse perché ero bambino. E poi quanto a vittorie e mitologia è insuperabile».

Più del Triplete di Mourinho?

«Quella formazione non la recito a memoria. Sono le conseguenze dell'abbandono della tradizione e delle maglie numerate da uno aundici. Di quella squadra ti dico Cambiasso. Non dovevamo farlo andare via così presto».

Sei arrabbiato con Mourinho?

«Quella notte al Bernabeu c'ero anche io. Che delusione vederlo andare via così. Però è più la riconoscenza...».

E Moratti sbagliò a non smantellare per poi rifondare: il solito cuore debole?

«A Moratti do 10 in pagella».

Cuore debole anche tu...

«Ma no, ha fatto tutto il possibile. Ed è inutile vendere se poi non hai i soldi per rifondare. Credo che fosse difficile investire ancora nell'Inter».

Per questo adesso pensi all'azionariato popolare...

«Aiuterebbe sul piano economico. Non solo si ridurrebbe la spesa sugli interessi sul debito, ma si creerebbe un legame ancora più stretto tra tifosi e squadra con un probabile aumento delle entrate, come accade per i club tedeschi».

Facci capire, cosa significa essere proprietari dell'Inter attraverso l'azionariato popolare?

«Nel Bayern i tifosi appartengono a un'associazione che definisce le linee guida entro le quali opera il management della società».

Sono i tifosi a scegliere l'allenatore e il direttore sportivo?

«No, le specifiche scelte tecniche vengono fatte dai consiglieri d'amministrazione della società controllata».

E allora i tifosi cosa decidono?

«Dipende dal loro peso azionario e dalla specifica struttura di governance che viene scelta. Nel Bayern decidono le linee guida, quanto investire, gli obiettivi, i consiglieri».

Ma come si fa a mettere d'accordo i tifosi?

«Nel Bayer sono circa 300mila i sottoscrittori e vanno d'accordo. Il problema è l'organizzazione, non la decisione e l'operatività».

Non è che oggi metto mille euro, domani ne devo mettere duemila e alla fine essere proprietario dell'Inter diventa un debito?

«No. L'ambizione è di avere una società che riesce a vincere, ma che ha i conti a posto. Attenzione poi. L'azionariato popolare non esclude la partecipazione di investitori con risorse più consistenti. Abbiamo una lunga lista di imprenditori, manager e professionisti che sono interessati e che potrebbero contribuire. E sopra di essi bisogna metterci qualcosa di corrispondente alle tre "A" tedesche, Audi, Adidas e Alleanz».

 

 

 

Insomma, sono proprietario per modo di dire?

«Fai parte della famiglia Inter non solo come tifoso, è qualcosa di più, anche una questione di cuore».

Privilegi? Sai, sono italiano...

«Ci possono essere premialità come la prelazione sull'acquisto dei biglietti, o magari qualche sconto sul prodotti del merchandising».

Con l'azionariato popolare avremo anche lo stadio di proprietà dell'Inter?

«È necessario avere stadi moderni, nuovi o ristrutturati. Aiutano ad aumentare le entrate e a sviluppare il business».

La gente scalpita: cosa dici a chi vuole diventare socio?

«Di avere un po' di pazienza. I problemi di coordinamento in termini di raccolta di interessi e di finanziamenti sono complessi. Vorrei smorzare gli entusiasmi. Il progetto è molto difficile da realizzare. Coordinare l'azione di potenzialmente centinaia di migliaia di tifosi e di un numero comunque elevato di altri investitori è difficile. Intanto procediamo passo per passo, senza troppe illusioni».

Ma vinciamo lo scudetto?

«Ci siamo un po' indeboliti. Non siamo più due spanne e mezzo sopra gli altri come l'anno scorso, ma restiamo tra i favoriti».

Hai mai pianto per l'Inter?

«In età adulta?».

Da ragazzino è scontato...

«Ho pianto per la morte di Facchetti, il mio giocatore del cuore, il terzino che faceva gol».

Non hai pianto il 5 maggio?

 «Quello è stato il momento più brutto da tifoso. Sono entrati in campo pensando di aver già vinto e per un po' ci è andata bene, visto che la Lazio non era ostile. Poi è bastato che gli avversari giocassero venti minuti...».

Pazza Inter. Peggio del rigore su Ronaldo?

«Sì, perché nel '98 siamo stati vittime, qualcosa non quadrava, non solo in quello Juve-Inter. A Roma invece è stato un suicidio».

Lo scudetto più bello?

«Quello che vinceremo con InterSpac. Posso dirti quello più giusto».

Come no...

«Quello che io chiamo "degli onesti" e qualcuno chiama "scudetto di cartone"».

Hai goduto per Calciopoli...

«Ha fatto bene al calcio. C'erano troppe cose strane, una bulimia di vittoria a tutti i costi malsana. Dopo Calciopoli abbiamo vinto il Mondiale. E poi ha portato bene anche alla Juve: i nove scudetti di fila partono da lì».

Come sei diventato interista?

«Nel 1963, per caso».

Sei un portafortuna, dopo in due anni abbiamo vinto tutto...

«Avevo nove anni e fino ad allora a chi me lo chiedeva avevo sempre risposto che tifavo Cremonese. Evidentemente non mi prendevano sul serio e io, per non sentirmelo più domandare ho detto che tifavo Inter, forse perché era prima in classifica. Davvero non mi ricordo». 

Dai blog