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Immigrazione, Libia in mano a trafficanti e jihadisti: l'Italia deve svegliarsi. Caos e invasione, siamo un Paese a rischio

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Gianluca Mazzini
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Tra i dossier aperti della politica estera italiana quello libico resta una dei più urgenti da affrontare. Dal 2011, con l'intervento militare voluto dalla Francia di Sarkozy che ha portato alla caduta di Gheddafi, Roma ha perso il ruolo di riferimento che aveva sempre avuto con Tripoli. I rapporti tra Italia e Libia affondano nella storia. Inizia nel 1911 l'invasione militare della Libia con la retorica della Quarta Sponda di giolittiana memoria, conquista consolidata dal Fascismo a partire dagli anni Venti. Ma anche per l'Italia Repubblicana la Libia è sempre stata centrale nella nostra politica mediterranea. Basta ricordare i solidi rapporti politici con Tripoli dei governi di Aldo Moro e Bettino Craxi, prima e dopo l'ascesa del Rais di Tripoli. 

 

Oggi il crollo del nostro fronte sud ha almeno tre conseguenze negative per l'Italia: flussi migratori fuori controllo, problemi economici/energetici e minaccia jihadista. Per capire nel dettaglio la situazione e soprattutto per capire come si può uscire dalle sabbie libiche è in libreria un interessante libro a firma di Michela Mercuri e Paolo Quercia dal titolo: Naufragio Mediterraneo, come e perché abbiamo perso il Mare Nostrum (Paesi Edizioni). «È fondamentale per noi recuperare un ruolo nel Mediterraneo. Quel ruolo che abbiamo progressivamente perso negli ultimi dieci anni» spiega Michela Mercuri docente di Storia Contemporanea dei Paesi Mediterranei. Attualmente, osserva l'autrice, «il governo Draghi sta cercando di allestire una sorta di zattera di salvataggio per poter tornare da protagonista in Libia dove sono diverse le sfide aperte. 

 

Per il momento Roma sta affrontando il problema economico. Un tema complesso che riguarda accordi di ricostruzione (ad esempio l'Italia è impegnata nel rifacimento dell'aeroporto di Tripoli) e intese energetiche (specie sulle rinnovabili). C'è, poi, l'aspetto petrolifero dove è impegnata l'Eni e quello dell'elettricità che manca in molte zone del paese. Ma stiamo parlando di un paese instabile con un governo di unità nazionale ma provvisorio (guidato dall'imprenditore Debeibeh) dove sono dominanti milizie filo -turche e filo -russe oltre a bande criminali che operano nel traffico di migranti». Ma se qualcosa si muove sul lato economico l'Italia resta completamente esposta su altri due fronti: quello dell'immigrazione clandestina e quella del jihadismo. E «si tratta», rivela Mercuri, «di due questioni direttamente collegate. Il paese pullula, soprattutto a sud nel Sahel di organizzazioni criminali che controllano le rotte migratorie che partono dal Centrafrica. Criminali che operano in collaborazione con a gruppi jihadisti che si autofinanziano con il trasporto di esseri umani. 

Basta pensare che ogni migrante può fruttare a queste organizzazioni fino a 15mila euro». Nel Sahel opera dal 2014 una missione francese (operazione Barkhane) forte di 5000 uomini (con quasi mille mezzi di supporto) che cerca di contenere le operazioni jihadisti. L'Italia e l'Europa più in generale restano abbastanza defilate su questo fronte molto ampio che va dalla Mauritania al Sudan passando per il Mali, Nigeria Ciad, Burkina Faso. Come si evince dal libro, con questa situazione sul campo oggi l'Italia non può risolvere il problema migratorio senza l'Europa ma anche senza gli Stati Uniti interessati a contenere l'espansione cinese e russa in Africa.

 

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