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Bologna, gli stranieri affittano solo agli italiani

Claudia Osmetti
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Premessa: si chiama libero mercato e, su questo, almeno per quel che interessa a noi, non c’è nulla da ridire. Che poi, nello specifico, sia pure mercato immobiliare tanto di guadagnato: ché uno, con casa sua, ci fa quello che vuole. La compra, la vende, l’affitta (e l’affitta a chi, evidentemente, ritiene più solvibile dato che, si presume, mica è un pirla): basta che lo faccia alla luce del sole, cioè rispettando le norme, dopodiché sono affari suoi.

Ecco, “affari”. È la parola giusta. Perché a Bologna, nell’ultimo periodo, va un tantinello diversamente da come ce la si potrebbe immaginare: va, cioè, che l’interesse degli immigrati verso il mattone è sempre più alto (e questo, d’accordo, era da mettere nel conto), ma al punto che il 46% delle compravendite, in città, riguarda famiglie di origine straniera, nello specifico cittadini indiani, pakistani e bengalesi i quali (ed è qui il passaggio epocale) non acquistano bio tri-locali per loro stessi, e non lo fanno nemmeno per i loro connazionali.

 

 

Lo fanno, invece, col preciso intento di metterli in locazione, questi benedetti appartamenti, e di soddisfare la domanda italiana. Sissignori. «Libero da settembre, chiamare ore pasti, preferenze bolognesi». O emiliani, o lombardi, veneti, toscani, liguri: quel che è purché abbiano un passaporto color amaranto con su lo stemma della repubblica e, di conseguenza, porti loro maggiore garanzie che a fine mese, l’agognato bonifico, magari anche con le utenze al seguito e le spese condominiali, venga inviato all’iban del legittimo proprietario in una banca che vai a capire dove ha sede.

IL RAPPORTO

Il dato è estrapolato dall’ultima analisi dell’osservatorio di Confabitare, che non a caso è l’associazione dei proprietari immobiliari: «Queste comunità», aggiunge riferendosi a quelle che vengono qui dal mar Arabico al golfo del Bengala, «non solo cercano di radicarsi a Bologna, ma dimostrano anche un crescente interesse per l’acquisto di immobili commerciale, contribuendo significativamente all’economa locale. Il 5,44% di tutte le compravendite è di fatto attribuibile a loro».

Il che significa che sotto le Due Torri, ogni 25 passaggi di proprietà di un immobile, più di uno, in un qualche modo, ossia in una delle due parti, o l’acquirente o il venditore, viene da qualcuno originario di questi tre Paesi letteralmente dall’altra parte del mondo. Niente di male, per carità. Business is business e il business non guarda in faccia a nessuno. Però è quantomeno un cambio di rotta, anzi un nuovo paradigma. «È un cortocircuito innescato dai tanti anni di governo cittadino di centrosinistra», dice, e non ha tutti i torti, Marco Lisei. Avvocato, bolognese e senatore in carica per Fratelli d’Italia.

BUONISMO IDEOLOGICO

«L’eccessivo aperturismo della sinistra», spiega, «sta provocando una sorta di tilt: chi fino a poco tempo fa veniva percepito come “discriminato”, oggi finisce per “discriminare” a sua volta e, per giunta, lo fa addirittura con le sue stesse comunità perché preferisce a loro chi è più solido nei pagamenti e rispettoso delle regole. Verrebbe da pensare che queste persone siano consapevoli di quel che avviene nelle loro comunità che, per dirlo chiaro, non sono particolarmente affidabili. Ma non si poteva che arrivare a questo punto col buonismo ideologico a cui ci ha abituati una determinata parte politica».

Qual è anche pleonastico specificarlo. Il risultato è che, solo nella rossa Bologna del sindaco Matteo Lepore, i pakistani hanno avviato 304 attività nel settore dell’alimentare, della bigiotteria e degli accessori, 111 delle quali sono di loro proprietà (a differenza dei colleghi bengalesi e indiani che, sul fronte commerciale, optano ancora in massima parte per la posizione di affittuari). «C’è di più», chiosa Lisei, «i passaggi multipli di attività commerciali perché magari non erano in regola con le tasse, oppure perché stanno aperti tre o quattro anni e basta e poi diventano irreperibili, sono fenomeni oramai molto diffusi e non solo a Bologna.

Ma a Bologna in particolare visti i flussi turistici che sono stati incontrollati e ingestiti dall’amministrazione. L’idea di una città culturale, multietnica, che non tutela in alcun modo i cittadini italiani è anche una delle concause di un fenomeno che si è diffuso in Italia con dieci anni di malgoverno della sinistra che non è riuscita a controllare i flussi migratori».

 

 

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