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Insieme per Hope, le volontarie che regalano ai randagi una nuova vita

Giulio Bucchi
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Il progetto si chiama Insieme per Hope e, in poco tempo, ha raccolto centinaia di condivisioni sui social network e fondi per pagare un costoso intervento. Hope è la prima femmina di un branco di randagi, salvata da alcune volontarie nelle campagne dell'Agro pontino. Hanno preso in prestito il termine inglese «speranza», per regalare una vita nuova a una sfortunata meticcia – «nata con becchi ossei alla base dell'ileo, che creano problemi di deambulazione, e che è stata anche impallinata» - dal pelo bianchissimo e dalle zampe fragili. «Hope» è il nome più evocativo, per un cane, in un contesto rurale dove gli amici a quattro zampe, negli ultimi anni, di speranza sembravano averne ben poca. Finché non sono arrivate loro. Una decina di ragazze, residenti in vari Comuni sparsi tra Velletri e Latina, accomunate dalla passione per gli animali. Insieme per Hope: la pagina Facebook dell'associazione Sul campo, hanno creato una rete di solidarietà che, a dispetto delle carenze delle istituzioni, offre una risposta tempestiva ai danni provocati dal reato (sebbene non venga percepito ancora come tale, è punibile con l'arresto fino a un anno, ndr) di abbandono di animali. Una rete di pronto intervento, gratuita e indispensabile anche per l'uomo. Visto che il randagismo crea una serie di pericoli, tra cui il rischio di essere morsi in campagna e quello di incappare in micidiali incidenti stradali. L'ultimo, che poteva causare una strage, è accaduto nella frazione di Cori. «L'anno scorso un pullmino di bambini ha investito un cucciolo, a cui è stata amputata una zampa», racconta Virginia, una volontaria dell'associazione “Cora Canem”, che in questi anni ha recuperato circa 400 tra gatti e cani randagi, svezzati con l'aiuto di amici e familiari. «I bimbi sono rimasti scioccati ma il miracolo è stato anche riuscire ad affidare il cane, nonostante avesse tre zampe». Essere un punto di riferimento, però, ha degli svantaggi: «Purtroppo ti chiamano tantissimi privati che minacciano di abbandonare in montagna i loro animali. Alcuni cacciatori persino di sparare ai cuccioli non venduti. Spesso dobbiamo correre a salvarne qualcuno, autotassandoci per il suo sostegno». Proprio nei dintorni di Cori, Libero ha visitato una vera oasi canina tra il monte Artemisio e i Pratoni del Vivaro. Un rifugio tra gli ulivi sia per animali strappati alla strada, che per cani privati lasciati a pensione. Ci vengono incontro Jay-Jay, Wendy, Daisy, e tanti altri esemplari «di pura razza meticcia», come li definisce Francesca. Che è un po' l'anima del gruppo “Adozioni Casa Bau Miao” (anche su Facebook). «La prima emergenza è arginare la proliferazione dei branchi con un progetto di recupero e sterilizzazione, che è anche l'unico modo per fare prevenzione», ci spiega mentre illustra i progressi di ogni cane, che qui viene rieducato e reso adottabile in tutto il centro e nord Italia. «Per molte persone sterilizzare è contro natura, ma abbandonare non lo è: scontiamo un forte arretramento culturale. Solo tra Cisterna e Velletri abbiamo un branco di 30 randagi, che sono i figli dell'ignoranza umana». «In Svizzera, prima di prendere un cane, per legge bisogna fare un incontro con l'educatore. E dopo che l'hai preso, altre dieci lezioni e la sterilizzazione obbligatoria sia per cani maschi che femmine. Così hanno risolto il problema dell'aggressività e del randagismo», spiega Chiara Pedace, educatrice e addestratrice in vari centri. «Noi offriamo un servizio di pre e di post affidamento», conclude Francesca, «perché alcuni adottanti sono alle prime armi: cosi loro si sentono supportati e non si rompe quel legame affettivo instaurato con i cuccioli che abbiamo seguito». di Beatrice Nencha

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