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Legge di stabilità, le accuse del Pdl a Letta: "Ecco come rifare la manovra"

Fabrizio Saccomanni

Brunetta: Troppe tasse sulla casa, stangate dagli Enti locali, redistribuzione iniqua e stime troppo ottimistiche sul Pil. Così la crescita non arriverà

Giulio Bucchi
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O si cambia la legge di stabilità o il governo Letta andrà a casa. L'ha suggerito Silvio Berlusconi, già nell'ultimo libro di Bruno Vespa. Lo ha ripetuto Renato Brunetta, che del Pdl è la mente economica più aggressiva e in vista. Il capogruppo dei deputati azzurri è stato il più duro nel criticare la manovra varata dall'esecutivo, polemizzando a distanza con il viceministro dell'Economia Stefano Fassina. La legge di stabilità, sostiene Brunetta, aumenterà le tasse invece di diminuirle. Posizione peraltro condivisa con la Cgia di Mestre, che sabato ha lanciato l'allarme. Il premier Letta dunque sta per finire in un cul de sac. Da un lato c'è il tema decadenza del Cavaliere, su cui per la verità il governo può fare poco. Dall'altro, può darsi una mano e assicurarsi la sopravvivenza suggerendo o accettando modifiche sostanziali in Parlamento. Ed è questa la strada proposta dal centrodestra. Tutti gli errori di Letta - Nel suo tradizionale mattinale, Brunetta parte in quarta puntando il dito contro una pressione fiscale da record che vede tartassata soprattutto la casa. Politicamente, sostiene il capogruppo, il Pdl fino ad ottobre ha incassato due punti programmatici fondamentali: "La revisione dei poteri di Equitalia e il tanto travagliato taglio dell'Imu sulla prima casa e sui terreni e fabbricati agricoli (la cancellaazione della seconda rata è ancora incerta)". Di contro, accusa, la sinistra ha ottenuto "numerosi provvedimenti, spesso di natura clientelare, o del genere tassa e spendi". Inoltre, prosegue il capogruppo Pdl, il Pd ha sempre trovato coperture ai propri provvedimenti non in tagli alla spesa pubblica o dismissioni del patrimonio statale, ma nell'aumento di accise o benzina. E pure il tema della redistribuzione del reddito va in senso sbagliato, tra "tassazione della casa, deindicizzazione delle pensioni, contributo di solidarietà sulle pensioni elevate". Misure, è l'accusa, tutte a danno degli elettori di centrodestra. E dunque è ora di riportare la barra del governo al centro.  Tasse sulla casa e stangate locali - Per come è uscita dal Consiglio dei ministri, la legge di stabilità prevede una stangata "mascherata" sulla casa. Su un prelievo complessivo di 44 miliardi, il gettito proveniente dall'imposizione sulla casa doveva essere di 20-21 miliardi e invece, sostiene il Pdl, sarà di 30 miliardi. Questo perché, a fronte di un prelievo dell'Imu che diminuirà di 4 miliardi (con l'abolizione della seconda rata nel 2013 il gettito totale sarà di 20 miliardi, contro i 23,7 del 2012 per prima e seconda casa), la stangata arriverà per colpa degli Enti locali ("Per quattro quinti nelle mani della sinistra", aggiunge sibillino Brunetta). Tutto dipende infatti dalle aliquote applicate dai Comuni: nel 2014 dalla prima casa arriveranno 2,1 miliardi (con aliquota dell'1 per mille) o 2,5 miliardi (con aliquota massima del 2,5 per mille). Sulle seconde case il gettito complessivo da Tasi e Imu può arrivare fino a 25,2 miliardi (con aliquota massima dell'1,16 per mille). In più, sottolinea Brunetta, c'è "la tassazione al 50% ai fini Irpef dei redditi degli immobili non locati ad uso abitativo ubicati nello stesso Comune di residenza e l'eleminazione di tutte le detrazioni previste dalla vecchia Imu e la Tari". Il conto è presto fatto: sulla casa secondo il Pdl nel 2014 pagheremo 30 miliardi rispetto ai 24 del 2012 e ai 20 dei 2013. Peraltro, lo slogan lettiano della manovra "tax free" si basa su numeri menzogneri: la crescita del Pil è prevista con molto ottimismo all'1% nel 2014 e al 2% nel 2015-16: questi calcoli consentirebbero di ridurre la pressione fiscale dal 44,3 del 2013 al 43,3 del 2016. Peccato che quelle stime non siano confermate dalle analisi internazionali e che, come suggerisce Brunetta, sia più prudente e verosimile parlare di crescita 0 nel 2014 e dell'1% per il 2015-16. Il che porterebbe la pressione fiscale dal 44,3% del 2013 al 44,6 del 2015-16. Se così fosse, addio aumento dei consumi, addio crescita.

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