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Pensioni, ecco chi si mangia i soldi degli anziani

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Renato Farina
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Da quando esiste - estate del 2000 - Libero non ha mai rinunciato a combattere contro una manipolazione del vocabolario utile a scassinare la cassa-pensioni e a involare il denaro che onesti lavoratori vi avevano depositato per godere infine di una serena quiescenza. Previdenza non c'entra nulla con assistenza. Mescolarle uccide entrambe.

1. Previdenza significa, scusate l'etimologia assai grezza, "vedere prima". L'aggettivo "sociale" significa che il singolo accetta che lo Stato regoli la faccenda. Funziona - dovrebbe funzionare! - in questo modo. Un/a lavoratore/lavoratrice, non volendo dipendere dai figlio dalla beneficenza per campare nell'età canuta, versa nell'apposita cassa comune una parte cospicua dello stipendio rimpolpata da una quota a carico del datore di lavoro. Allo scoccare dell'età stabilita per legge, avendo consegnato per un congruo numero di anni all'INPS (Istituto nazionale di previdenza sociale) i fondi per lo scopo scritto nel nome stesso della ditta, ecco che il/la pensionato/a passa mensilmente a riscuotere. Sono soldi suoi, affidati a uno Stato che si spacciava per padre e non per patrigno, e aveva garantito che la pensione sarebbe stata adeguata all'andamento dell'inflazione, in modo da non far precipitare gli standard della vita quotidiana.

 

 

 

2. Assistenza significa "stare accanto" per rispondere al bisogno di chi da solo non ce la fa. La previdenza pensa al domani, l'assistenza al qui e ora. Può avere la forma di assegno di disoccupazione, pensione per disabilità civile, integrazione alla pensione manchevole causa mancati versamenti, pensione sociale. Nella storia della Repubblica l'assistenza ai bisognosi è parte del patto sociale e di certo è imprescindibile- quando non sia truffaldina o si trasformi in materasso sociale della pigrizia -, ma si è trasformata nell'apriti sesamo dello Stato-Ali-Babà per rompere il porcellino con i quattro quattrini spettanti ai pensionati e requisirne una parte cospicua.

3. Mescolare 1 e 2, come se fossero la stessa cosa, è una truffa semantica, per dirla con parole alate. Più volgarmente è la tecnica di dissimulazione dello Stato per infilare la manina nella tasca dei pensionati. Non di tutti. Ma di quelli che hanno pagato il dovuto per quarant' anni e oltre. Soprattutto ad essere defraudato è il ceto medio. Oggi siamo alla seconda puntata, condotta da Attilio Barbieri, di un'inchiesta che racconta come la truffa purtroppo è stata reiterata anche dal governo Meloni. Invece di attingere dalla fiscalità generale per sostenere chi altrimenti non arriverebbe alla fine del mese, si spolpa la vacca già magra dei pensionati, con una progressività di sgraffignamento che non credo c'entri con la costituzione. Si trattano quali anziani approfittatori, che hanno la colpa di evitare la morte e dunque pesare sulla comunità. Meglio spogliarli

 

 

 

Nella prima parte dell'inchiesta abbiamo mostrato come a partire specie dal governo Monti si sia tirato il freno a mano sull'adeguamento del vitalizio all'aumento del costo della vita. Il governo di destra-centro ha riprodotto il pregiudizio, addirittura esasperando le amputazioni punitive delle spettanze a partire da pensioni mensili lorde di 2304 euro, quasi fossero una cuccagna. Nel 2021 - governo Draghi - si era battuto ogni record di fondi attinti dall'INPS e consegnati alle svariate forme di assistenza: 21 miliardi e 728 milioni di euro. Avanti così? No grazie. Si devono sì assistere i poveri e gli sfortunati, e ci mancherebbe: ma allargarne la schiera proletarizzando i pensionati del ceto medio è stupido prima che disonesto. Urge che il governo Meloni, se non vuole sbattere contro un'ingiustizia tipicamente di sinistra, dia un colpo al volante e intraprenda una manovra a U. Separi previdenza e assistenza. Impedisca alla seconda di cannibalizzare la prima. 

 

 

 

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