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Banche italiane, attacchi speculativi: cosa può accadere

Michele Zaccardi
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La solidità del sistema bancario italiano non è «in discussione». Dopo una settimana di passione sulle borse del Vecchio Continente, cominciata con il matrimonio riparatore tra Credit Suisse e Ubs, con tanto di dote (pubblica) miliardaria, e finita venerdì scorso con il tonfo (-8,5%) di Deutsche Bank, a stemperare la tensione è intervenuto anche l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina. Le sue parole giungono in una giornata nella quale i listini europei hanno chiuso in leggero rialzo (Milano +0,49%), con le banche che, però, nel gergo degli analisti, risultano ancora «fiacche». Gli strascichi della tempesta che si è scatenata in seguito al fallimento di Silicon Valley Bank continuano infatti a farsi sentire.

 

 


Eppure, per come la si guardi, la situazione degli istituti di credito italiani appare florida. Nel 2022, ricorda il Centro Studi Uilca, grazie anche ai rialzi del costo del denaro che hanno ingrassato il margine di interesse (+19,6%), ovvero la differenza tra tassi attivi e passivi, l’utile netto complessivo delle undici maggiori banche del nostro Paese si è attestato a 14,57 miliardi di euro, in aumento del 54,7% sull’anno prima, con il picco registrato da Unicredit (+208%). A causa dei venti contrari che hanno spirato sui mercati finanziari, sono calate invece dell’1,5% le commissioni, soprattutto quelle relative a consulenza intermediazione e gestione, che, negli anni dei tassi negativi, tenevano a galla i bilanci. Nel complesso i ricavi sono aumentati dell’8,6%, toccando quota 60,8 miliardi di euro, e i costi operativi dello 0,3%.


CREDITI DETERIORATI
Questo mentre i crediti deteriorati, che nel corso degli anni avevano attirato le reprimende della Vigilanza Ue, da sempre peraltro corriva nei confronti dei derivati di cui sono imbottiti gli istituti di credito francesi e tedeschi, sono ormai a livelli assolutamente gestibili. Nel 2022, le sofferenze si sono attestate a 19,8 miliardi, in calo di 5,2 miliardi rispetto all’anno prima, mentre in rapporto al totale dei prestiti, gli Npl netti, ovvero coperti da poste in bilancio, all’1,4%. «L’elevata patrimonializzazione delle banche italiane» si legge nell’analisi di Uilca, è «una garanzia per fronteggiare un’eventuale crescita degli Npl (Non Performing Loans), che ormai hanno un’incidenza molto bassa». Secondo uno studio condotto dalla Fondazione Fiba per First Cisl sui 5 gruppi di maggiori dimensioni, il capitale di migliore qualità (Cet1) l’anno scorso è infatti cresciuto, raggiungendo il 15,14% degli attivi ponderati per il rischio.

 

 


REGOLE STRINGENTI
Si sono poi ridotti del 3% i crediti classificati come Stage 2, e cioè quelli in bonis ma che presentano un peggioramento delle probabilità di rimborso (13,6% sul totale dei prestiti). Non ci sono però solo i freddi dati contabili a confermare le parole di Messina sullo stato di salute del sistema bancario italiano. Oltre a essere soggetti a regole più stringenti, gli istituti del nostro Paese presentano infatti un modello molto diverso da quello di Silicon Valley Bank, fallita il 10 marzo. La banca californiana presentava uno squilibrio molto marcato tra attivi a lungo termine, costituiti in gran parte da Titoli del Tesoro statunitensi, e passività a breve.

Una situazione di disequilibrio che in Europa è preclusa dalle regole di Basilea 3 che si applicano agli istituti con più di 10 miliardi di asset. Inoltre, come riporta lo studio della Fiba, nel 2022 il debito pubblico in pancia alle banche italiane è diminuito di 14 miliardi sull’anno prima, mentre sono aumentati i titoli di Stato detenuti fino a scadenza e che vengono pertanto contabilizzati al costo ammortizzato. In questo modo, si limitano gli impatti sul patrimonio di ulteriori rialzi dei rendimenti che deprimono, di riflesso, i prezzi dei bond in portafoglio. Per Equita, infine, le prospettive sono positive: «la dinamica dei tassi continuerà a fornire un forte contributo al margine d’interesse delle banche nei prossimi trimestri». 

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