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Spesa, un chilo di spaghetti a un euro? Ecco dove

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Attilio Barbieri
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Mercoledì prossimo, 25 ottobre, è la giornata mondiale della pasta, istituita un quarto di secolo fa. E in questi 25 anni la produzione globale di maccheroni, spaghetti, farfalle e tortiglioni è quasi raddoppiata: nel 2022 i pastifici dei cinque continenti ne hanno prodotte 17 milioni di tonnellate. L’Italia è di gran lunga prima al mondo con 3,6 milioni di tonnellate. Secondo le stime di Unione Italiana Food e International Pasta Organisation un piatto di pasta su quattro è Made in Italy, quota che sale a tre su quattro se ci si limita alla sola Europa. Ma non facciamoci illusioni.

Con poche eccezioni nel resto del mondo la pasta che si consuma soprattutto quella prodotta localmente - è sideralmente lontana dal campione indiscusso della tavola tricolore. Spesso viene prodotta anche con grano tenero che ne inficia la capacità di tenere la cottura. E quel che non combinano i pastai stranieri, lo fanno i cuochi locali che quasi invariabilmente riescono a scuocere spaghetti, tortiglioni e farfalle, realizzando piatti che da noi non uscirebbero nemmeno dalla peggiore mensa scolastica.

 

 

 

Paese che frequenti, pasta che trovi. E in ognuno c’è sempre qualcuno disposto a sostenere che spaghetti e tagliatelle che escono dai pastifici locali sono i migliori al mondo. Capaci di sbaragliare tutti i concorrenti. A cominciare proprio da quelli italiani, come si racconta nella rubrica La Forchettata che compare in questa stessa pagina. D’altronde non c’è nulla di più divisivo del cibo, del modo di cucinarlo e consumarlo.

Tornando a casa nostra, secondo le ultime elaborazioni di Assoutenti, il prezzo medio della pasta in Italia si aggirava all’inizio dell’autunno sui 2,13 euro al chilogrammo, con un aumento del 25,3% rispetto allo scorso anno, quando il prezzo medio era di 1,70 euro al chilo. E sui rincari dei maccheroni è esplosa pure una polemica rovente fra Coldiretti e Unione Italiana Food. L’ennesima, in verità. E vi confesso che non mi appassiona per niente.

Così come non mi appassiona il calcolo dei prezzi medi dell’alimento principe della dieta degli italiani. La media aritmetica di tutti i cartellini fornisce spesso un prezzo che non ha riscontro sui banconi dei supermercati. Va benissimo per le statistiche. Un po’ meno per i consumatori, alle prese con la sfida di riempire il carrello senza svenarsi. Così, come faccio spesso, ho vestito i panni del Casalingo di Voghera e ho passato al pettine le otto catene nazionali della grande distribuzione che si trovano nella cittadina dell’Oltrepò e nei dintorni. Ho censito il prezzo più basso e il prezzo più alto delle centinaia di confezioni in vendita. Il risultato è quello riassunto nella tabella che compare in questa pagina. Ed è facile trarre alcune conclusioni.

Innanzitutto si trova in commercio pasta a un prezzo ben inferiore a quello medio calcolato dalle associazioni consumeristiche. Con un euro o poco più se ne compra un chilogrammo sia nei discount sia nelle catene tradizionali che offrono però una scelta infinitamente superiore. Ma i maccheroni low cost sono fatti tutti con materia prima importata. L’origine del grano dichiarata in etichetta è invariabilmente «Ue e non Ue», una dicitura introdotta dai soloni della Commissione europea che equivale a dire «origine pianeta Terra».

Incidentalmente (ma non troppo) la pasta più pregiata e più costosa è prodotta quasi tutta con grano duro coltivato rigorosamente nei campi italiani. E questo smentisce clamorosamente le campagne con le quali, per anni, i pastai hanno cercato di accreditare la tesi che i migliori maccheroni fossero quelli fatti con il grano duro importato. Tranne un caso, poi, tutte le confezioni meno costose sono etichettate con la marca del distributore. E solo due- al Penny Market e all’Esselunga - riportano il logo del “trimestre anti inflazione”. 

 

 

 

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