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Salah Abdeslam, il terrorista islamico della strage a Parigi? "In quel locale gay...", impensabile vizietto privato

Mauro Zanon
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Il prossimo 8 settembre, davanti alla corte d'assise speciale di Parigi, si aprirà il maxi-processo degli attentati jihadisti del 13 novembre 2015, durante i quali persero la vita 130 persone, e 500 rimasero ferite più o meno gravemente. L'unico sopravvissuto degli attacchi che funestarono la Francia nello stesso anno della strage di Charlie Hebdo è Salah Abdeslam, il terrorista francese naturalizzato belga e di origini marocchine attualmente rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Fleury-Mérogis, nella periferia sud di Parigi. Sarà presente in aula Abdeslam, che partecipò agli attentati come "convoyeur de la mort", trasportatore della morte, secondo la definizione di Etty Mansour, che in un libro appena uscito per le edizioni Équateurs ha ricostruito il percorso dell'islamista cresciuto nella banlieue di Molenbeek, a Bruxelles.

 

 

 

 

L'inchiesta dell'autrice, che si è presentata come "écrivaine" e sotto pseudonimo ai suoi interlocutori per ragioni di sicurezza, racconta la storia di disumanizzazione di questo ragazzo figlio dell'immigrazione maghrebina che passava le giornate a fumare hashish e a giocare alla play station, prima di radicalizzarsi e guardare video di decapitazioni assieme a correligionari estremisti al cafè Les Beguines di Molenbeek, covo di frustrazioni e progetti violenti contro i "kouffars", gli infedeli. Ma nel libro di Etty Mansour si scopre anche che Salah Abdeslam e alcuni dei suoi amici estremisti avevano una fissa per i locali gay di Bruxelles. «A Molenbeek, Salah Abdeslam viveva in una società di soli uomini. "Alhamdulillah! (grazie a Dio, ndr) Allontana i miei figli dal vizio", dicevano le madri. Il vizio erano le donne. Tentatrici da cui bisognava tenere lontani i ragazzi. E madonne di cui bisognava preservare la verginità prima del matrimonio. Perennemente tra uomini, l'eccitazione omosessuale diventava onnipresente», scrive la Mansour a proposito dell'ambiente in cui viveva il coordinatore del commando del 13 novembre.

 

 

 

Dei bar gay di Bruxelles, Abdeslam era un habitué. «Amava flirtare con questo doppio divieto: diventare un frequentatore assiduo dei locali in cui andavano gli omosessuali e derubarli», rivela Mansour. Col fratello Brahim, andava a sedurre altri uomini e talvolta rubava portafogli o cercava carte d'identità da falsificare. Alcuni suoi conoscenti hanno detto a Etty Mansour che Salah «non è mai passato all'atto» con altri uomini. Ma l'autrice riporta anche una testimonianza: «Sono venuta a sapere da un agente della polizia giudiziaria che nei casi di terrorismo numerosi sospetti nascondono immagini di porno gay nei loro cellulari. Hanno problemi di frustrazione sessuale».

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