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Emmanuel Macron da ridere: tamponi, prima attacca l'Italia e poi li impone ai francesi

Francesco Specchia
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E, d'un tratto tornò il solito "asse franco-carolingio", alle spalle di Draghi e sulle note del ballo del tampone. Accade che Emmanuel Macron, dopo aver istituzionalizzato il suo pass vaccinale, nottetempo, decida la svolta: non seguire la "linea Draghi" sulla gestione dei confini in tempo di Covid: ossia rigetta l'idea di test alle frontiere interne dell'Ue. «Di fronte alle varianti del virus, dobbiamo continuare ad agire da europei» twitta il leader francese all'una di notte (come dire: Draghi non lo fa), a margine del Consiglio europeo a Bruxelles affermando, apodiddico, che «le persone vaccinate non dovranno farsi il tampone per viaggiare fra i paesi membri dell'Unione europea».

 

 

 

I DUE TRATTATI

Per Macron, dunque, i test alle frontiere non servono perché, di fatto, il controllo dei viandanti alla frontiera sarebbe una sorta di misura illiberale. La Francia non aveva chiuso i confini nel primo lockdown e ha sempre tenuto aperte le scuole, dice. Peccato che lo stesso Macron, prima abbozzi la critica verso Draghi; e subito dopo, imponga la chiusura dei confini francesi (tampone e quarantena obbligatoria) per chi provenga dal Regno Unito («Questa sì una misura davvero estrema», commenta Lambreto Dini che la Francia la conosce bene), esclusi i residenti e certi transfrontalieri. Continua Macron: «Non prevediamo di introdurre dei test Covid Pcr all'interno della Ue, perché noi siamo attaccati al buon funzionamento dello spazio comune, dunque non contiamo di mettere dei test Pcr nei confronti dei Paesi europei, ma verso dei Paesi terzi». Sulla stessa linea, inaspettattamente, si muove anche il neocancelliere tedesco Scholz: «La libertà di movimento in Europa è importante»; e sulla possibilità di nuove restrizioni «stiamo seguendo le orme della Francia». Sicchè, proprio mentre ci stavamo godendo lo strascico dei complimenti della fu Merkel sulla nostra gestione della pandemia, e stavamo gonfiando i petti d'orgoglio all'incasso degli applausi dell'Economist; be', ecco che l'alleanza Francia-Germania si riattizza all'improvviso e si rinsalda contro l'operatività implacabile di Mario Draghi. Certo, alla base di tutto, pur galleggiante nell'usuale morta gora della burocrazia sussiste sempre, da parte della Ue, la volontà di un'azione comune e coordinata sull'approccio alla variante Omicron che spaventa perchè «si sta diffondendo ad un ritmo feroce», fa sapere Ursula Von der Leyen. Lo stesso presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, traccheggiando, tenta la ricerca di una linea comune, perché sulle restrizioni per i viaggi nell'Ue, con tamponi e test, «c'è una responsabilità nazionale: è possibile per gli Stati adottare misure aggiuntive. Ma ho l'impressione che ci sia la volontà di coordinarsi e di avere un approccio comune, assicurandoci di avere un approccio coerente alla mobilità all'interno dell'Ue e anche nei confronti dei Paesi terzi». Michel rende nota la necessità di «basare le nostre decisioni su dati scientifici oggettivi: aspettiamo maggiori informazioni». Dopodichè, Ursula si profonde in disquisizioni tecniche sugli accordi nei tempi di vaccinazione: «Per il certificato digitale Covid presenteremo un atto delegato per un approccio uniforme sui richiami e la durata del certificato. Il richiamo va somministrato al più tardi 6 mesi dopo il completamento del ciclo vaccinale», mentre la durata del Green Pass sarà di 9 mesi. E sta bene. Tutto perfetto. Ok. Ma il problema, da qualunque visuale si guardi il tampone, rimane un altro. Soltanto lo scorso 26 novembre Draghi e Macron avevano firmato - quasi griffato data la rilucenza della notizia sui mass media - il "Trattato del Quirinale", un'inedita intesa tra cugini spesso rivali che sanciva la cooperazione politico/economica rafforzata tra Roma e Parigi, nella rievocazione del Trattato dell'Eliseo che nel '63, seppelliva i malintesi sotto il tappeto dell'affettuosa diplomazia.

 

 

 

LA LEADERSHIP

Non è passato neanche un mese che il Trattato del Quirinale si scioglie ora nella prosopopea di Macron (indicato ieri in patria come un inguaribile narciso propagandista dopo l'intervista ai canali Tf1 e Lci). E, al suo posto, riaffiora prepotente il "Trattato di Aquisgrana", di collaborazione franco-tedesca del 2019. Il motivo di tutto questo? Gli analisti lo individuano nella tracimente leadership di Draghi che si sta infilando nei gangli di un'Ue orfana di Merkel e alla ricerca di un nuovo tutore. Che, evidentemente, non è Macron... 

 

 

 

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