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Sanzioni, "denti otturati col cemento": uno choc, ecco a cosa si è ridotta la Russia

Carlo Nicolato
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In Russia ci sono circa 4,5 milioni di immigrati provenienti dall'Asia centrale, cioè da Paesi ex sovietici come l'Uzbekistan, il Tagikistan, Kazakistan e Kirghizistan. Per certi versi vengono considerati il motore dell'economia del Paese. Pagati poco e in generale senza troppe rivendicazioni, sono lavoratori particolarmente malleabili, facili da assumere e da cacciare alla bisogna.

 

Durante i lockdown per la pandemia ad esempio furono i primi a rimetterci, il 75% di loro fu messo in congedo non retribuito contro il 45% dei lavoratori russi. Stando così le cose è ovvio che ancora una volta i primi a pagare le conseguenze della crisi dovuta alle sanzioni sono proprio loro: molti sono stati lasciati a casa dall'oggi al domani senza lavoro, altri si sono accontentati di una drastica riduzione di stipendio, ma i più, ed è questa la vera novità, hanno preferito tornarsene a casa. Al meno 133.000 uzbeki sono già rientrati, e così pure 60mila tagiki.

Per loro però le prospettive nemmeno a casa sono le migliori, anche perché le economie di quei Paesi, pur non colpite dalle sanzioni, sono esposte agli effetti a catena delle stesse in quanto sopravvivono in buona parte delle rimesse degli stessi migranti. E non ultimo anche per il fatto, raccontano testimonianze dirette, che nella loro patria come ex lavoratori russi sono visti con sospetto, alcuni vengono perfino accusati di essere delle spie. Il Cremlino sostiene che non c'è stato alcun esodo, si guardano bene anche dal dire che da che è iniziata la guerra gli immigrati asiatici sono diventati bersaglio di rigurgiti nazionalisti, sebbene alcuni di loro, già inquadrati nell'esercito russo, siano andati a combattere in Ucraina. Ma tutti gli altri, cioè gli altri cittadini russi, come se la passano nella Russia delle sanzioni «mai viste prima»? Come gli immigrati, quelli che potevano se ne sono andati, specie da San Pietroburgo. Ma si tratta ovviamente di una minima, piccolissima parte.

 

Gli altri vivono nelle ristrettezze che possiamo immaginare e che hanno fatto pensare a più di un cittadino attempato a un ritorno ai vecchi tempi, quando l'Unione Sovietica faceva da sé o quasi. «Ritorneremo alle fattorie collettive» dicono a Mosca. «Torneremo alle otturazioni in cemento come nell'Urss», dicono invece i dentisti, una delle categorie più colpite dalle sanzioni, insieme ai rispettivi clienti ovviamente. Vale per i farmaci in generale, ma ancora di più per le loro forniture: con la chiusura dei mercati occidentali non arriva più il necessario neanche per un'otturazione. Veniva importato il 90% delle attrezzature, dalle poltrone ai materiali per gli impianti, sieri per le anestesie compresi. Qualche avveduto professionista aveva fatto le scorte per tempo, qualcuno ne ha per 3 mesi, altri per 6, ma si tratta di un tempo molto limitato se le cose continuano così.

Ovviamente i prezzi sono saliti alle stelle, raddoppiati, triplicati in certi casi, in quanto i dentisti fanno pagare oro quel poco che hanno ancora a disposizione. È la legge del mercato, quella dei tempi di guerra, che vale qui come altrove. Gran parte del materiale veniva dalla Germania e dagli Usa ed entrambi hanno chiuso i battenti. Ma i dentisti, prima di arrivare al cemento, stanno sondando mercati alternativi. Ci sono produttori, scrive la Komsomolskaya Pravda, tra i quali anche alcuni europei, che si stanno ingegnando per aggirare le sanzioni facendo passare il materiale proprio da quei Paesi centroasiatici di cui parlavamo. A proposito di sanzioni, ieri la governatrice della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina, ha reagito al congelamento delle riserve russe, definendolo un «atto senza precedenti» e annunciando che «metteremo a punto tutte le azioni legali e ci stiamo preparando a depositarle».

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