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Quelle toghe deviate ed eversive: perché sono un romanzo incompleto

Iuri Maria Prado
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Almeno tre generazioni di italiani sono state educate all'esistenza dei poteri "deviati". Un cospirazionismo da bar, ma con sussiego da presunto giornalismo d'inchiesta, racconta da decenni che «pezzi dello Stato» hanno fatto malversazione lungo un percorso aberrante, perseguendo interessi illeciti, i propri, attentando a quello comunitario, danneggiandolo. Ma se c'è un potere cui perfettamente si attaglierebbe quel racconto, ebbene è proprio quello che non vi è mai stato iscritto: il potere giudiziario.

 

Che non è (precisiamolo sempre) "la" magistratura, ma la parte militante e corporata che ne comanda i movimenti e ne perverte la funzione. È infatti semplicemente indiscutibile che "pezzi" del potere giudiziario cospirano e agiscono per la tutela dei propri affiliati e nel perseguimento di interessi contrari a quelli della comunità, valendosi della capacità intimidatoria e ricattatoria che ad essi deriva dalla propria appartenenza a una casta armata (un ordine di cattura spaventa più di un fucile).

 

Eppure questo potere e il lavorìo eversivo in cui esso si è esercitato non sono mai stati, e continuano a non essere, degni di appartenere al romanzo italiano sui cosiddetti "poteri deviati". È un romanzo largamente incompiuto.

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