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Olivetti, la paura dei dirigenti in una vecchia lettera: "L'amianto? Qui arrivano i pm"

Andrea Tempestini
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Il fascicolo dell'inchiesta sull'amianto in Olivetti è pieno di documenti inediti che raccontano il ritardo con cui l'azienda di Ivrea ha preso provvedimenti per salvaguardare la salute degli operai. C'è persino una lettera in cui si denuncia con vent'anni d'anticipo il pericolo di un intervento della procura. A firmarla è l'ingegner Piero Abelli, oggi deceduto, ex dirigente del Servizio ecologia e sicurezza sul lavoro (Sesl) del gruppo, che il 22 settembre 1994 invia questo messaggio denso di preoccupazione a un addetto alle bonifiche: «In merito al piano di togliere l'amianto dalle Officine H, faccio osservare che a fronte di un sopralluogo, certo, della Usl 24, ci troviamo con metà officina occupata e con la finitura d'amianto non in buono stato. Questo pone il grosso rischio di una segnalazione alla Magistratura. Riflettiamo». Nel testo non è chiaro chi debba riflettere e soprattutto perché. Evidentemente Abelli ritiene che i suoi superiori non si stiano impegnando a sufficienza per la rimozione dell'amianto e la tutela dei lavoratori. Forse perché, come si evince da un'altra nota riservata sequestrata dalla procura di Ivrea, in diverse aree dell'azienda le fibre di amianto venivano sparate nei polmoni degli operai direttamente dalle bocchette dell'aria: «Dalla verifica ambientale effettuata dal Servizio ecologia in uffici siti a piano terreno delle ex officine H è stata rilevata una dispersione di fibre nell'ambiente dopo la rimozione di canaline per l'areazione rivestite in amianto (…) Il sistema di areazione presente a piano terra delle ex Officine H potrebbe quindi aver avuto anche una funzione veicolante di fibre di amianto nell'ambiente di lavoro». Le stesse fibre assassine di cui parla una delle vittime dell'inchiesta, Bruna P., 66 anni, nel suo interrogatorio: «Quando arrivavo al mattino dovevo pulire la scrivania con uno straccio perché era piena di pulviscolo bianco». Per questa gestione aziendale disastrosa negli anni scorsi è stato processato l'ex amministratore delegato Ottorino Beltrami, morto nel 2013 dopo la condanna di secondo grado. Nello stesso procedimento i fratelli Carlo e Franco De Benedetti (ex amministratori delegati) vennero indagati e poi archiviati. Adesso i due rischiano, insieme con altri 37 dirigenti, il rinvio a giudizio per omicidio e lesioni colposi a causa della mancata salvaguardia della salute degli operai. Il motivo dei ritardi nelle bonifiche lo spiega a Libero un altro degli indagati, l'ingegner Luigi Gandi: «Mi occupavo degli approvvigionamenti dei materiali e posso dire che né io né gli altri colleghi avevamo la possibilità di lavorare su un budget per il problema dell'amianto, non ho mai sentito che esistesse un fondo ad hoc». Gandi nega di aver avuto deleghe per le bonifiche: «Non credo che ne avesse per le spese eccezionali neanche il direttore degli impianti. Anche perché si sarebbe trattato di mettere fuori uso edifici interi. Se avessimo dovuto eliminare ogni forma di amianto avremmo dovuto licenziare migliaia di persone». Una fotografia della situazione in Olivetti negli anni '80 è il comunicato che Cgil, Cisl e Uil diramarono dopo l'incontro del 18 dicembre 1986 con il Sesl: «Le organizzazioni sindacali hanno accertato nelle settimane scorse la presenza di amianto in quantità variabile del 30 e 40 per cento nei pannelli che fungono da soffitto del 1s di Palazzo uffici, ivi comprese le due mense». Nel testo si evidenzia che l'amianto è sostanza vietata dall'Organizzazione mondiale della sanità «a causa delle proprietà altamente cancerogene» e che questa indicazione è stata recepita dallo Stato italiano attraverso una circolare del ministero della Salute. Parole che dimostrano quanto fosse già alto l'allarme amianto in Italia nel 1986, sei anni prima del suo bando definitivo. Tanto che, si legge nel documento, «l'Olivetti si è impegnata a redigere un piano di bonifiche che sarà sottoposto alle organizzazioni sindacali unitamente a un piano per la sua completa realizzazione nei primi giorni di gennaio». Non è chiaro che cosa sia successo a quel progetto, né se i sindacati abbiano fatto picchetti e scioperi per il mancato rispetto degli impegni, quello che sappiamo è che le bonifiche partirono molti anni dopo e che, per esempio, le due mense sono state ripulite nel 2001 e nel 2005. Ma le carte in possesso della procura di Ivrea dimostrano come la questione del "ristorante" aziendale (e non solo quella) si sia riproposta ciclicamente. Senza trovare una soluzione definitiva. Per esempio nel 1988 l'ex coordinatore del settore Ecologia del Sesl, Paolo Fornero, teste chiave dell'inchiesta, dovette escogitare una soluzione artigianale per risolvere il problema dello sgretolamento degli intonaci a base di amianto. Lo si apprende da una comunicazione interna: «Oggetto: intervento manutenzione soffitto mensa Ico (Ingegner Camillo Olivetti spa, la sede centrale dell'azienda ndr). Ho notato che in alcune zone dell'area adiacente all'intervento (muri divisori che portano all'area mensa, muretto della balconata sopra la distribuzione del caffè ecc.) c'è parecchia polvere. Vedi per favore di far intervenire subito domani mattina con il solito aspirapolvere». In un altro documento del marzo 1992, siglato da Abelli, emerge ulteriormente la scarsa professionalità con cui vengono realizzati certi interventi: «Riscontro un valore, se pur non allarmante, elevato di fibre nella mensa Ico. I lavori fatti - per altro in modo carbonaro - per l'installazione del recupero vassoi evidentemente hanno lasciato uno strascico. Prego sensibilizzarsi sulla necessità di rispettare le procedure da tempo definite per questi interventi». Segnali di preoccupazione erano arrivati anche dall'esterno. Il Centro per lo studio e la prevenzione oncologica della Usl 10 di Firenze, il 25 febbraio 1991, aveva informato i colleghi di Ivrea della «coibentazione con amianto spruzzato» di diversi reparti e della mensa dell'Olivetti da parte di una ditta toscana. Per l'azienda sanitaria fiorentina si trattava di lavori vecchi di decenni e a serio rischio deterioramento. Purtroppo nemmeno questo avviso di possibili «problemi ambientali» accelerò i lavori di bonifica. Molti anni prima, Maria Luisa Ravera, dirigente del Sesl sino al 1985, aveva chiesto lumi a Domenico Semeraro, responsabile sanitario dell'Olivetti, sull'uso alcuni prodotti tossici. La risposta di Semeraro fu sibillina: «Mi pare che le norme siano ben chiare. Speriamo vengano rispettate». Quasi 40 anni dopo è evidente che quell'augurio non era solo un modo di dire. di Giacomo Amadori

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