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I prezzi dei risarcimenti Per uno stupro 4800 euro 8200 per un omicidio

Giovanni Ruggiero
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Quando l' autore di un crimine non risarcisce la vittima perché ha le tasche vuote (ossia sempre), interviene la carità dello Stato. Con i suoi miseri indennizzi. Una elemosina che contribuisce a offendere (ulteriormente) chi ha subito un reato grave. Che nel nostro Paese la cosiddetta "tutela indennitaria" delle vittime di reati "intenzionali e violenti" (omicidio, lesioni personali, stupro eccetera), non abbia mai e poi mai rappresentato una priorità per nessun governo, è sotto gli occhi di tutti. Ormai da decenni. Ma per confermare l' umiliante trend, mancava soltanto l' attuale esecutivo col suo ultimo decreto. Basta leggere il documento a firma tripla Minniti-Orlando-Padoan (che stabilisce appunto gli indennizzi) ed entrato in vigore lo scorso 10 ottobre, per comprendere come la vita di un essere umano venga equiparata a un obolo statale. Cioè a meno di niente. Qual è, per esempio, il valore di una donna violentata e uccisa, di una madre massacrata di botte o di una figlia strangolata bruciata e gettata nell' immondizia? Scorriamo i capitoli del decreto - connesso alla norma 112 del 2016 - e avremo contezza degli importi. Settemiladuecento (7200) euro per l' omicidio (si legge), cifra che sale a 8200 se chi ammazza è un coniuge o una persona che ha avuto una relazione affettiva con la vittima: il risarcimento riserva un occhio di riguardo ("maggiore ristoro") ai figli di chi non c' è più. Lo stupro invece vale poco più della metà: 4800 euro. Tutto il resto può essere liquidato al massimo con 3000. Sempre euro s' intende. Questo accade in Italia. In altri paesi le cose vanno diversamente e ovviamente meglio. La materia è da tempo disciplinata dall' Europa, anche se lo Stato italiano per molto tempo ha fatto finta di niente e alle vittime dei reati violenti e volontari ha risposto (come si usa dire) con due dita negli occhi. Insomma i nostri governi sono sempre stati inadempienti e costantemente condannati e multati. Nel 2011 la Commissione Ue, davanti alle denunce di vittime lasciate senza un indennizzo "in situazioni nazionali o transfrontaliere", ha avviato l' ennesima procedura di infrazione contro l' Italia. Nel 2014, insoddisfatta dalle nostre risposte, la stessa Ue aveva fatto scattare il deferimento alla Corte di Giustizia, ribadendo che «l' indennizzo dovrebbe essere possibile tanto nelle situazioni nazionali quanto in quelle transfrontaliere». L' Italia sostenne che la direttiva non l' avrebbe obbligata «a garantire indennizzi per tutti i reati dolosi violenti e non sarebbe valsa per i suoi cittadini, discriminabili in peius rispetto agli stranieri in transito nel nostro Paese». Insomma l' Italia provò a sottrarsi alla condanna con una tesi assurda: la direttiva non avrebbe protetto le persone lese nel proprio Stato di residenza. Per esempio, secondo il governo Renzi, la direttiva lo avrebbe legittimato a discriminare fra una ragazza italiana e una turista olandese violentate sul nostro territorio, lasciando la prima priva di tutela e proteggendo solo la straniera. La Corte ha respinto la tesi, ovvio. A luglio 2016 il Parlamento, per scongiurare un' altra condanna della Corte, licenzia la legge 122 che dichiarava di introdurre la tutela prevista dalla direttiva. Poi il 31 agosto scorso arriva l' ultimo decreto Minniti-Orlando-Padoan, in vigore da venti giorni. Con i suoi oboli ridicoli. di Cristiana Lodi

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