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Green pass, ecco "la tassa Speranza". Perché alla fine l'ha spuntata ancora il ministro

 Roberto Speranza

Pietro Senaldi
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Lo Speranza è l'ultimo a morire. Da buon comunista, il ministro della Salute ha organizzato la Stalingrado del Green Pass, una resistenza a oltranza perché l'Italia sia l'ultimo Paese occidentale a cedere sulla linea delle restrizioni. E poiché questo governo, diciamocelo, pende un po' a sinistra, alla fine l'ha spuntata lui. La risurrezione civile, ovverosia la liberazione totale dal certificato verde non ci sarà a Pasqua, come sarebbe stato evocativo e come chiedeva la Lega, bensì al Primo Maggio, magari con tanto di parata senza mascherina al concertone rosso.

Nel frattempo, il primo del prossimo mese, il ministro dovrà deglutire un pesce d'aprile indigesto, l'eliminazione del Green Pass rafforzato. Anche ai non vaccinati cinquantenni basterà il tampone negativo per essere riammessi al lavoro, mentre per tutti i non immunizzati il test sarà un pass per tornare a vivere: ristoranti, cinema, trasporti. È solo una mezza vittoria, intendiamoci. Il 31 marzo finisce lo stato d'emergenza e, come sottolineato già due mesi fa da Libero, con esso terminano i presupposti giuridici per ogni limitazione della libertà legata alla pandemia, non destando più essa ufficialmente allarme. Tutte le restrizioni che restano saranno quindi prive di base scientifica e legale, ma di questi tempi bisogna accontentarsi.

 

 

Raggiungiamo la libertà dopo tutti gli altri, pur avendola persa per primi, tuttavia con questa sinistra abbiamo anche temuto che il momento non sarebbe mai arrivato. Se torniamo liberi è, sia chiaro, solo merito nostro. Nessuna maggioranza giallorossa può intestarsi la vittoria sul Covid, dovuta unicamente ai vaccini e al senso civico e di responsabilità degli italiani che se li sono somministrati in massa malgrado le informazioni lacunose, contraddittorie e apodittiche del governo, che sono alla base della nascita del Movimento no vax. Lo specifichiamo perché siamo certi che Speranza, Conte e compagni proveranno a speculare sulla pandemia nella prossima campagna elettorale, tacciando il centrodestra di essere antiscientifico. Non è così.

Da Zaia a Fedriga, da Toti a Fontana, da Marsilio a Occhiuto, da Ghigo a Musumeci, tutti i presidenti di Regione dello schieramento hanno fatto la loro parte senza strumentalizzare la pandemia. La stessa cosa non si può dire della sinistra, che ha irriso Fontana per essere stato il primo a mettersi la mascherina e organizzato aperitivi del contagio rassicurando- copyright di Conte, Galli e Ricciardi- che l'Italia era prontissima al Covid. Poi ha criminalizzato la Lombardia, colpevole solo di essere la Regione con più contatti internazionali, e da Paese con il record di decessi per abitante durante la prima ondata ha sostenuto che, se al governo ci fosse stato il centrodestra, avremmo avuto i morti in strada (Zingaretti dixit).

 

Poiché in Italia nulla può mai essere normale, anche la fine del Green Pass, tardiva ma pur sempre benedetta, ha avuto il suo aspetto grottesco. La Lega, come detto, avrebbe voluto libertà totale fin da Pasqua, per dare una mano al turismo, soprattutto dall'estero. Ma non è stato possibile per l'opposizione di Speranza, ferrea quanto tremebonda. Il ministro, ultimo giapponese del Covid, ha fatto il diavolo a quattro e per questo il partito di Salvini lo ha denunciato per danni: cinquecento milioni di euro per aver ritardato le riaperture di due settimane. Draghi fa spallucce, i giallorossi ironizzano sulla cifra - tanto non sono loro a rimettercela - e la Lega, dopo essersi opposta, vota per lo slittamento, salvo poi denunciarlo, sconfessando nell'attacco a Speranza anche il suo stesso comportamento. Il siparietto si chiude a tarallucci e vino, con il ringraziamento di Salvini al ministro della Salute per le sue belle parole sull'europeismo del Carroccio. E, per noi che dobbiamo scriverne, non è che la riprova di quanto assurda sia questa maggioranza di governo, che non cade proprio perché, non avendo nulla in comune i partiti che ne fanno parte, non c'è nulla su cui dividersi o litigare. Tutti in fila dietro a Draghi, a non prendersi le responsabilità per le misure impopolari di Palazzo Chigi né per i suoi insuccessi, che mischia sempre più frequentemente ai successi. E nessuno a dare le risposte che il premier non riesce a fornire su bollette, tasse, gasolio, politica internazionale.

La sinistra gioca il ruolo della minoranza allineata che non prova neppure a incidere, sperando che Draghi, andandosene, le consegni una sorta di eredità morale. Forza Italia fa la minoranza responsabile ma sofferente, del tipo non lo fo per piacere mio ma per amore del Paese, anche se la nuova posizione le ha consentito di fermare il calo di consensi. E la Lega? La Lega non ci sta, però vota con il premier; perché, se non votasse, si direbbe che insegue la Meloni, e questo non sta bene né a Salvini né ai suoi governatori, che pure hanno visioni un pizzico diverse tra di loro. E poi bisogna dare la dimostrazione che si può essere forza di governo e ci si deve anche pur distinguere in qualche modo. Del resto il voto mica lo devi stampare sulla felpa, pardon, sulla scheda.

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