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Vittorio Feltri: sposarsi è un disastro, ma il divorzio (forse) è peggio

Vittorio Feltri
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Mi è giunta voce che Giuseppe Culicchia ha divorziato da poco, e quando mi è stato inviato questo suo ultimo libro, "Finché divorzio non vi separi" (Feltrinelli, 163 pagine, 16 euro) mi sono detto "beh, per forza". Chi ha un potere dovrà pur esercitarlo, e Culicchia è uno scrittore molto bravo, il suo potere è scrivere, che male c'è a vendicarsi? Il libro in effetti è assai divertente, si legge in un paio di sere, per chi non prende sonno in fretta anche in una sola, ed è una summa di tutti i luoghi comuni che scandiscono una storia d'amore, dal primo incontro al divorzio, che lo scrittore considera alfa e omega inevitabili, sia per l'uomo e la donna etero, sia per le coppie gay.

Culicchia, sapendo di scrivere cose che se venissero prese sul serio (e Dio sa se in questi tempi tutto viene preso sul serio) lo condurrebbero a un rogo senza neanche il sollievo della garrota, tratta con sprezzo del pericolo i tre punti di vista in parallelo, con identici capitoli: i progetti di vita, le discussioni sui figli (futuri), l'incubo degli/delle ex, la comunione o separazione dei patrimoni, la presentazione ai genitori, i wedding planner, l'addio al celibato. Ogni capitolo è un gradino verso l'abisso, e infine il divorzio, anzi no: infine «Finalmente libero (anche di finire sotto un ponte) per lui, "senza dover finire sotto un ponte" per lei», e «in realtà lo eravate già prima» per i gay.

Ognuno è una girandola di indicibili verità: lui sotto il piumone nelle notti d'inverno scoreggia (almeno d'estate tutti i santi aiutano), lei quando ha il ciclo può incarnare varie gradazioni di Satana. Molto istruttivi sono i capitoli panoramici sui motivi per cui ci si pente, una specie di paradigma con una ventina di voci: lei ti tratta come uno scemo ogni volta che fai una battuta divertente, o diventa vegana, o dopo il primo figlio non te la fa vedere più, o scopre di sentirsi fluida e devi chiamarla "loro" perché una sola identità le va stretta. D'altro canto, lui è un narcisista egocentrico, ti ruba gli ori per pagarsi il gioco d'azzardo online, dice che lavora in una multinazionale e invece è disoccupato da anni, non ha tutte le amanti che sospettavi ma uno solo (sì, al maschile), al mare non si toglie neanche le scarpe perché non sa nuotare. Per i gay, lui indossa solo vestiti arcobaleno dalla testa i piedi, ride guardando la prima scena di Full Metal Jacket e ride ugualmente anche davanti a Totò che fa l'ambasciatore di Catonga, non ha gradito il nuovo disco di Fedez in regalo, "adora Vittorio Feltri. Non quello fatto da Crozza, proprio lui, l'originale" (testuale).

 

 

 

VERITÀ INDICIBILI

Culicchia sa benissimo di avere scritto un libro inutile, perché la gente anche dopo averlo letto si metterà insieme lo stesso e si sposerà lo stesso. È quindi anche un libro astuto, nato per farsi un po' di risate ed essere regalato agli amici e alle amiche, nubendi o single, come monito o come celia, senza pretese se non quella di ricordarvi che esistono cose che non pensereste mai possano accadere a voi. Mi sono tornati in mente, e sospetto anche a Culicchia mentre scriveva, due piccoli capolavori del formidabile umorista Antonio Amurri, Come ammazzare la moglie e perché e Come ammazzare il marito senza tanti perché, nei quali ha dato definizioni così certe dei tipi maschili e femminili da vergarle in latino.

 

 

 

Nel suo libro Culicchia fa un passo avanti: sembra satira, sembra ironico, ma non è nessuna di queste cose. I luoghi comuni son come i proverbi, sono tutti veri, e ci mettono nell'angolo: siamo certi di sfuggirvi, abbiamo bisogno di credere nella nostra unicità di individui, ma non è mai vero. Tutti facciamo le stesse cose. I luoghi comuni funzionano perché gli esseri umani sono esseri comuni che quei luoghi li occupano, sono catene. Non ribellatevi, è inutile. A ben pensarci, la parte sui gay ci è sembrata (forse apposta) pleonastica, perché nessun gay vuole leggere cose ironiche sul proprio conto: intanto perché i gay sono persone serissime, e poi perché sono così impegnati a ottenere pari diritti, figurarsi se vogliono leggere che qualcuno di questi diritti, tipo il matrimonio, è meglio non averlo. Culicchia in fondo lo sa, e infatti i capitoli fotocopia che riguardano la coppia omosessuale, ancorché spassosi, sono telegrafici, quasi messi lì perché non lo si accusi di aver discriminato qualcosa. Proprio "qualcosa", non "qualcuno", perché il matrimonio secondo Culicchia è di un'umanità così disumanizzante, di un'incoerenza così coerente, che i due soggetti trafitti da Cupido, dal momento appena successivo ai cieli blu dell'innamoramento fino alle carni sanguinose del divorzio, finiscono rapidamente "mattonificati", diventano duri, ruvidi e pieni di crepe. E l'amore (come il marketing, rubo all'ottimo Walter Fontana, che per certi versi di Amurri ha raccolto l'eredità), dicevo, l'amore è un apostrofo rosa fra le parole "quant' è?"

 

 

 

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