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Remuzzi: "Così si cura Kraken. Vaccini? Con lo spray"

Pietro Senaldi
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«C'è chi lo ripeteva anche in Italia, nei tempi più difficili del Covid, ma è sbagliato. Un politico non può dire "io seguo la scienza", non deve eludere le proprie responsabilità facendosi scudo con gli esperti, delegando loro decisioni, popolari o impopolari, che competono a lui. È un discorso che vale per le chiusure del Covid ma anche per stabilire i limiti di velocità o i programmi scolastici. I politici devono ascoltare gli scienziati ma poi assumersi in prima persona l'onere delle scelte, che non può dipendere solo da valutazioni tecniche ma implica necessariamente anche considerazioni economiche, sociali, gestionali. Non siamo noi medici a dover stabilire se una scuola va chiusa o meno...».

Alcuni suoi colleghi però sembrava ci tenessero molto a prendere queste decisioni...
«Davvero? Sarà, però io resto dell'idea che noi dobbiamo allertare i politici sui progressi della scienza ma poi decidono loro».

Abbiamo scelto di privilegiare la salute rispetto all'economia, ecco un'altra frase che ci siamo sentiti ripetere a lungo...
«Non mi torna, le due cose vanno insieme: se danneggil'economia metti a rischio la salute. Non dimentichiamo che la prima causa di morte al mondo è la povertà e dove l'economia non funziona la gente non ha accesso ai servizi di salute».

In Cina sul virus ha deciso solo la politica; e ha fatto un grande disastro...
«Pechino si è data un obiettivo impossibile inseguendo il miraggio dello zero Covid, con chiusure severissime che hanno portato a problemi economici ed esasperato la gente. Il tutto è sfociato in violente proteste e così il governo ha dovuto aprire. Ma riaprire totalmente, come se nulla fosse, è stato un azzardo. Con un miliardo e mezzo di persone che potrebbero contagiarsi, può succedere di tutto».

Si rischia l'ecatombe?
«Secondo Airfinity, una società di analisi di dati medici che ha sede a Londra, i contagi quotidiani sono oggi intorno ai 4 milioni. I morti nei prossimi giorni arriveranno a 25.000 e alla fine di aprile potrebbero sfiorare i 2 milioni».

Perché il loro vaccino non funziona...
«Devo contraddirla. In Cile, su un campione di dieci milioni di persone, il New England Journal of Medicine riporta che il vaccino cinese previene la malattia nel 65% dei casi, l'ospedalizzazione nel 90% e la morte nell'86%. A Hong Kong, su 7,4 milioni di persone esaminate, oggi sappiamo da uno studio pubblicato su Lancet che il vaccino cinese offre una protezione del tutto comparabile a quella dei vaccini a mRna. Non solo. Quando il vaccino cinese CoronaVac è stato comparato con i vaccini a mRna si è visto che dopo la terza dose quello di Pechino è addirittura più efficace dei nostri, specie in persone con più di ottant'anni».

E quando Giuseppe Remuzzi parla di Covid, c'è poco da obiettare. Il direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri e i suoi collaboratori a Bergamo sono stati i primi a suggerire che l'utilizzo di antinfiammatori non steroidei somministrati al sorgere dei sintomi riducono la necessità di ricovero. A due anni di distanza, una revisione della letteratura pubblicata su Nature proprio questi giorni mette gli antinfiammatori al primo posto fra le strategie terapeutiche che abbiamo a disposizione. Remuzzi ha dedicato all'argomento dei vaccini anche la sua ultima fatica letteraria, "Le monetine di Roosevelt", uscita per Solferino sul finire dello scorso anno, dove ripercorre la parabola dell'umanità attraverso le profilassi. Il lavoro incrocia episodi storici con l'analisi di esperienze maturate nella lotta al Coronavirus e riflessioni nate dalla lettura dei più aggiornati testi scientifici. Il tutto scritto con chiarezza e curiosità, in modo da renderlo fruibile al grande pubblico. «La Cina», riprende Remuzzi, «rischia non a causa della qualità del proprio vaccino bensì per come è stato utilizzato. Pare che si siano privilegiati i lavoratori mentre un numero preoccupante di persone sopra i sessant' anni non è stato vaccinato e rimane vulnerabile. Questa non è una questione scientifica ma politica e sociale. Loro hanno una sensibilità molto diversa dalla nostra».

In Italia dobbiamo temere per il grande contagio cinese?
«I tamponi che abbiamo fatto sui cinesi arrivati qui dimostrano che le varianti che li infettano non sono nuove rispetto a quelle che si sono diffuse da noi; pertanto dovremmo essere piuttosto protetti. Più che la Cina, al momento mi preoccupa quello che sta succedendo negli Stati Uniti».

Perché, cosa sta succedendo?
«Si sta diffondendo rapidamente la XBB.1.5, soprannominata Kraken, una sotto variante di Omicron-2 che pare destinata a sbaragliare le altre e diventare dominante in tutto il mondo. A detta del dottor Cao, un dottore cinese bravissimo che ha dato l'allarme ancora prima che l'Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarasse l'emergenza globale, non c'è mai stato un virus tanto contagioso. Negli Stati Uniti il numero dei nuovi infettati raddoppia ogni settimana».

Quanto è letale Kraken?
«Non sembra che lo sia più delle "sorelle" Omicron. Nell'area di New York, e nel nord degli Stati Uniti - dove ormai Kraken arriva a una diffusione dell'80% - i ricoveri in ospedale non sono aumentati rispetto agli Stati dove Kraken non arriva al 20%. Però REMUZZI questa variante è capace di sfuggire agli anticorpi e ha una straordinaria affinità con il recettore, la proteina che rappresenta la porta di ingresso del virus nelle cellule».

Se sfugge agli anticorpi significa che penetra il vaccino?
«È così ma per fortuna anche con questa variante terza e quarta dose proteggono gli ultrasessantenni e i fragili dalla malattia grave».

Quali sintomi dà?
«Mal di gola, naso che cola, stanchezza, tosse secca e, non sempre, febbre. Di solito non si perdono olfatto e gusto».

Arriverà anche da noi?
«Al momento in Italia non c'è un allarme Kraken visto che il 90% dei nostri positivi sono infettati da Omicron 5. Ma una diffusione così importante negli Usa fa pensare che lo stesso potrebbe succedere da noi».

Che consiglio dà agli italiani?
«Agli ultrasessantenni di fare la quarta dose, agli ultraottantenni e a chi è fragile di fare la quinta».

Quando?
«Dopo 120 giorni dall'ultima dose o dall'infezione».

Siamo quasi al vaccino e cappuccino...
«Sì, ma presto potremmo avere vaccini che schermano le nuove varianti e speriamo mantengano la loro efficacia per un periodo più lungo. I virus come Sars-CoV-2, virus respiratorio sinciziale e raffreddore comune si replicano soprattutto nella mucosa nasale. Vuol dire che non arrivano a stimolare il sistema immune in modo così importante come i virus che si replicano dappertutto, morbillo e rosolia per esempio. Ecco perché l'immunità, acquisita contro Sars-CoV-2, svanisce dopo un certo periodo. Però stiamo lavorando perché i prossimi vaccini siano capaci di conferire un'immunizzazione a livello delle mucose e probabilmente si somministreranno come spray nasale».

Chi ha meno di sessant'anni, e quindi ha fatto la terza dose un anno fa, è ancora protetto?
«La protezione di quella dose dura quattro mesi, ma nel frattempo il sistema immunitario di chi è più giovane, e quindi più reattivo, si attrezza per combattere il virus. Le cellule hanno una memoria del vaccino, che viene riattivata e rinforzata dall'incontro con altri agenti».

Se malgrado tutte le dosi di vaccini ci ammalassimo, come ci si cura, oltre alla famigerata vigile attesa?
«Idealmente con gli antivirali, specialmente Paxlovid che si prende per bocca e Remdesivir che va fatto endovena, ma bisogna farli presto entro 3-5 giorni dall'inizio dei sintomi e in pazienti che rischiano di progredire verso Covid severo. Il problema del Paxlovid - che adesso può essere prescritto dal medico di medicina generale- è che c'è interazione con tanti altri farmaci che in certi casi ne controindica l'impiego. Quando gli antivirali non si possono fare per le caratteristiche dell'ammalato o perché non si arriva in tempo, restano gli antinfiammatori. In caso di peggioramento, l'eparina a basso peso molecolare, per i pazienti allettati, o le piccole dosi di cortisone che si possono fare a casa».

Non si sente più parlare di long-Covid: è finito?
«Il long-Covid c'è e riguarda più o meno il 20% di chi si è ammalato. Colpisce soprattutto il sistema nervoso ma anche altri organi come cuore e reni. La buona notizia è che molte ricerche recenti fanno pensare che i casi di long Covid con le nuove varianti stiano diminuendo».

Permane una grande nebbia sugli effetti collaterali della vaccinazione: ci sono o no?
«Certo che ci sono, ma quelli davvero gravi sono rarissimi, come le trombosi delle vene nel cervello associate a calo di piastrine che si sono viste per i vaccini a vettore adenovirale AstraZeneca e Johnson&Johnson. All'inizio sembrava che interessassero solo le giovani donne, con il tempo si è visto che anche adulti maschi potevano essere colpiti. La frequenza va da 20 per milione di dosi di vaccino somministrate nelle giovani donne e 10 per milione in chi ha più di 50 anni».

Ma i trombi non colpiscono anche il cuore?
«L'associazione di trombosi coronarica e vaccinazione non è stata dimostrata. Non solo, il vaccino protegge da incidenti cardiovascolari anche le persone a rischio».

Si è parlato molto anche di miocarditi...
«Ci sono state, ma sono molto rare, alquanto inferiori alle miocarditi indotte dal Covid».

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