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Vittorio Feltri, gli immigrati e la Lega: "Devono imparare i dialetti? È una scemenza"

Giulio Bucchi
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Non ho mai nascosto le mie simpatie per la Lega e il suo capo Salvini. Però la notizia di oggi mi ha lasciato basito. Apprendo che il Carroccio ha fatto questa proposta con l' intento di trasformarla in legge dello Stato: gli stranieri che aspirano a ottenere la cittadinanza italiana non dovranno limitarsi a dimostrare di conoscere bene la nostra lingua. Ciò non basterà. Saranno obbligati a rivelare una certa dimestichezza con i dialetti locali, che notoriamente sono numerosissimi e variano da valle a valle, da comune a comune. Il che dimostra: la pretesa leghista è velleitaria per non dire stupida. Come si può pensare che un profugo senegalese arrivato a Bergamo impari oltre alla lingua di Dante, che neppure noi di montagna abbiamo acquisito appieno, perfino il bergamasco, per altro diverso nelle varie zone della provincia al punto che tra noi orobici stessi fatichiamo spesso a comprenderci? Personalmente amo i dialetti, gli idiomi strani ricchi di coloriture e di sfumature godibili, e in famiglia o con i miei amici di infanzia, adoro esprimermi in lombardo d' alta quota, il quale evoca in me dolci ricordi. E mi auguro che il mio lessico familiare non muoia mai, poiché non è solo divertente ma pregno di significati profondi. Tuttavia sembra ridicolo imporlo agli africani desiderosi di italianizzarsi. Non sono in grado costoro di colloquiare speditamente con un professore di lettere, figuriamoci se hanno facoltà di discettare con un falegname dal linguaggio strettamente valdimagnino. Siamo al paradosso. Mi domando se i nordisti siano in sentore o soffrano di qualche disturbo a livello psichico. Con tutti i problemi che abbiamo nel nostro vituperato Paese non era il caso di buttarla in caciara da osteria. di Vittorio Feltri

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