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Roberto Saviano, la vergogna con il boss pluri-omicida: e questa come la spiega?

Giulio Bucchi
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Quando lo vedi annuire alle dichiarazioni di Felice Maniero, il boss della Mala del Brenta, l' organizzazione criminale che terrorizzò il Nordest negli anni '70, capisci che si sta compiendo uno strano cortocircuito: lui, Roberto Saviano, denunciatore del crimine organizzato, sta dando voce (e, a tratti, ragione) alle tesi sociologiche del criminale incallito, facendolo passare per un intellettuale illuminato. Per carità, il rischio è già implicito nel format di questo programma, "Kings of Crime", alla sua seconda stagione su Nove, in cui noti malavitosi vengono intervistati da Saviano, raccontando la propria storia, mettendo a nudo la propria anima (nera) e pentendosi, ma anche no, di quanto compiuto. Va da sé che così il Male possa apparire seducente, come capita sempre alle narrazioni che raccontano di serial killer e boss spietati, dotati di fascino, sebbene perverso. Questo espediente acquista senso se risulta efficace in termini di ascolti: non è tuttavia il caso della puntata di due giorni fa di "Kings of Crime", ferma all' 1,6% di share, con appena 340mila spettatori, record negativo da quando esiste il programma. Leggi anche: "Ha guadagnato 13 milioni?". Saviano, il pesantissimo sospetto della Chirico Toni raggelanti - Al di là del contenitore, il problema riguardava l' approccio di Saviano all' intervista, quel suo interrogare Maniero come se avesse a che fare con un opinionista e uno studioso del crimine, non con un criminale brutale; quel suo far domande in modo impassibile, senza prendere con forza le distanze da affermazioni raggelanti. Un approccio che lasciava modo a Maniero di dire che lui, reo di sette omicidi, non avrebbe mai sognato di fare una vita diversa perché «fin da bambino dicevo: piuttosto che fare l' operaio, meglio fare il bandito»; di affermare che «uccidere non mi ha fatto niente perché erano le nostre regole queste»; e di dichiarare che la sua scelta di diventare collaboratore di giustizia è stata dettata solo da opportunismo in quanto «io non mi sarei mai pentito se non ci fosse stata una legge favorevole ai pentiti». Dove però l' intervista diventa inaccettabile è quando Saviano dà la possibilità a Maniero di atteggiarsi a lucido interprete della realtà italiana. L' ex boss della mafia veneta si sente in diritto di dare consigli allo Stato su come contrastare la criminalità organizzata, rendendo legali le sostanze stupefacenti. «La legalizzazione delle droghe», sostiene, «è il più grande spauracchio di tutte le organizzazioni mafiose. Sarebbe uno dei modi più rapidi ed efficaci per sconfiggere le mafie». Non pago, Maniero sciorina le sue ricette su come contrastare la corruzione e risolvere la questione meridionale, criticando il reddito di cittadinanza e sostenendo che lo Stato ha abbandonato il Sud. E, davanti a un Saviano che annuisce con la testa, può anche spiegare perché preferiva «i terroristi ai mafiosi: ero incuriosito dai terroristi perché si erano presi nove ergastoli per un ideale, mentre io spacciavo droga per lucro. Era una bella differenza, eh». Il ritratto che ne emerge è quello di un dispensatore di saggi consigli e di riflessioni taglienti: «Mandano Maniero per tv come un eroe delle serie Tv Educational», scrive su Twitter l' utente Open Your Mind. «Avete visto l' intervista di Saviano a Maniero? Mancava solo l' aureola a entrambi», chiosa un altro. PULPITO TELEVISIVO Ma non è questo che indigna di più. Il vero problema è che Saviano predica bene e razzola male. Due anni e mezzo fa, quando Bruno Vespa osò intervistare il figlio di Totò Riina a "Porta a porta", l' autore di Gomorra si scagliò contro quella scelta, sostenendo che Riina jr avesse usato quel pulpito per lanciare messaggi ai picciotti. L' aveva definita «la comunicazione più forte che Cosa Nostra ha dato negli ultimi vent' anni», aggiungendo: «Nel momento in cui l' attenzione sulla mafia è a zero, i mafiosi vedono che c' è lo spazio per dire queste cose». Ora Saviano è incappato in qualcosa di analogo. D' accordo, quello era servizio pubblico e Nove è un' emittente privata. Ma la sostanza non cambia. E per di più Maniero, dall' intervista, è uscito molto meglio di quanto non fosse uscito Riina jr. dalla puntata di "Porta a porta". Senza considerare che quest' ultimo è "solo" il figlio di, l' altro il criminale vero e proprio. di Gianluca Veneziani

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